Vista l’importanza e l’attualita’ del problema dell’autodeterminazione del popolo curdo e del suo legame con l’Anarchismo, in specie tra il capo politico Ocalan e il pensiero di Murray Bookchin, apriamo questo spazio particolare per scrivere,commentare, testimoniare questo ultimo tentativo di creare una societa’ basata su uno dei cardini piu’ importanti dell’Anarchismo, cioe’ il municipalismo e il ruolo paritario tra uomo e donna nella societa’
QUALCHE PROBLEMA CON BOOKCHIN Tutto bene di Bookchin quando si parla di gerarchie, ecologia sociale o forme applicative nel municipalismo libertario, ma é poco condivisibile la sua visione positiva e un po’ fideistica sulla scienza . Credo sia un rimasuglio dell’ illuminismo settecentesco. Daltronde la tradizione anarchica si rifà nella sua radice piu remota ai fondamenti della rivoluzione francese. Ma finché ci riferiamo ad allora é più che giustificata come posizione. Che Bookchin, uomo che ha varcato la soglia del terzo millennio, non approfondisca e non discrimini a sufficienza fra conoscenza e deleteria scienza applicata può essere un motivo non secondario di distanza. La generazione degli anni 70 aveva ben compreso il problema. In quegli anni dopo il bagno di “folla” si tornava alla terra e, perlomeno in forma attiva e rinnovata, al recupero delle tradizioni contadine ed artigiane. Erano scelte spesso radicali, sicuramente dei giovani più illuminati. Questi erano consapevoli di lottare in tal modo contro il sistema distruttivo ed egemonico delle scienze applicate e delle tecnologie. E queste scelte erano fatte a costo di abbandonare carriere e studi scentifici . Era chiaro il nemico chi fosse. E questo ancor più quando la sensibilità ecologica era alta. Non c é bisogno di ricordare che l energia nucleare sia di pace che di guerra rappresentava da circa 30 anni l apice della scienza applicata e della tecnologia. Bookchin significava molto per noi giovani di quella generazione ma cedeva su questo punto e cioè che non c é mai una scienza buona quando essa viene applicata. Può esserlo per un periodo ma il potere userà quell avanzamento per i propri fini che sono inderogabilmente sempre i peggiori. Oggi abbiamo guerre con armi terribili, abbiamo ordigni nucleari finali per il pianeta, abbiamo un avvelenamento dell aria e delle acque di superficie perché la chimica ha lavorato bene e ciò vale anche per un pianeta che scoppia di ftalati derivati dalle plastiche e nocivissimi alla salute dei viventi. Le grandi scoperte della sanità sono in particolare in campo interventistico che oggi si avvale di sistemi di visione a sonda che sono stati studiati in origine per fini militari cioè per amazzare il più possibile. Anche l ingegneria sanitaria per protesi e sistemi adiuvanti la mobilità é frutto di enormi risorse che gli stati hanno devoluto, in primis gli stati uniti, nella ricerca per i veterani mutilati. Gli stessi che avevano distrutto un paese come il vietnam del nord. La stessa robotizzazione in campo chirurgico, una delle promesse maggiori nella sanità, é frutto della ricerca militare americana. Serve infatti a sostituire i soldati per ammazzare senza rischio.Anche la creazione del web é avvenuta pro manu militari. Oggi possiamo comunicare da una parte all altra del pianeta con facilità per la presenza di satelliti. Quegli stessi che permettono ai droni in Irak o in altri “teatri” di guerra di piombare su un villaggio ed ammazzare intere famiglie comandati da una mano a 10 mila km di distanza. Una delle cose che non condivido di una parte cospicua della tradizione anarchica é questo salto logico. Molto frequente anche nei dottrinari di quel pensiero. Cioè: è quello stesso potere che si vorrebbe abolire o per lo meno diluire il più possibile che ha prodotto uno sviluppo scientifico che l anarchico di tradizione reputa benefico, quando l avanzamento delle scienze nell ultimo secolo é stato possibile solo per la capacita concentrazionaria di risorse economiche di quello stesso potere tanto odiato. Cioè quando la ricerca scientifica si é fatta complicatissima perché dipendente dalle tecnologie avanzate solo enormi risorse e istituti asserviti al potere potevano reggere. Non era più il tempo dell intuizione di una bella testa pensante che con pochissima tecnologia e qualche buon artigiano scopriva dal telescopio al vaccino di Jenner. Un ulteriore effetto deleterio di questa egemonia scientifico tecnologica é stato sulla psicologia delle masse. Il “dio che é morto ” é stato sostituito da una nuova deita’. Quella del corpo degli scienziati ormai chiamati ovunque a mettere l ultima parola su questioni umane, esistenziali, sociali, insomma tutt altro che scientifiche. Ma il deus scienzologo può sempre entrare a gamba tesa a condannare dal suo pulpito. E noi poveri fedeli di questo nuovo dio accettiamo di buon grado, pena l ostracismo. Per finire, che proprio gli anarchici ci siano cascati la dice lunga su quanto possano essere ingenue tante anime belle. Il post anarchismo é dovuto per ciò nascere come una necessità. Quando il semplicismo giacobino ha incontrato nel 900 l’esistenzialismo. É un parere del tutto personale perciò mi fa piacere discuterne. Cioè quando il rispetto delle libertà individuali e quindi l autodeterminazione dell individuo doveva passare da una lotta urlata ad una consapevolezza interiore fatta anche di profondi silenzi. Attraverso cui matura la propria individualità, capacità di scelta ed intelligenza personale. L individuo diventa cosi individuo vero e non semplicemente formalizzato in una cornice di pensiero. Sia esso anarchico sia esso liberale. Il post anarchismo da’ qualche speranza per una opposizione radicale all’ egemonia della razionalità.
L‘uomo si frammenta nel suo ciarlare sulla vita o su una realtà di cui non possiede e non possiederà mai le forme. Quando l’ uomo si fa filosofo illusiona se stesso mascherandosi da cogitante e allisciandosi il pizzetto. Poca trippa carissimi. Il dissidio fra Nicola Chiaromonte e Andrè Malraux, per altro ottimi amici e compagni d’arme contro Franco In Spagna, si svolgeva tutto in questo piccolo cortile: Malraux che era l’ esempio vivente dell essere nel fare, la realizzazione del sè nell’ immersione nella vita spesso spericolata sempre avventurosa, Chiaromonte che criticava tale approccio iperattivista cercando, secondo una linea filosofica più classica che mai, un riscontro dei fatti nel pensiero. Il dramma di quest’ ultimo è che se da una parte era condannato all’ uso del verbo per condurre la sua linea esplicativa, dall’ altro era decisamente disilluso sulla capacità delle parole di rappresentare la realtà. La contraddizione si incrociava ulteriormente con un atteggiamento analogo che però aveva proprio il Malraux, per il quale l ‘uomo non aveva alcuna capacità di comunicazione con l’ altro, quindi affliggeva anch’ esso la potenzialità del verbo. E’ un intreccio che potrebbe essere un discreto oggetto di ironie sottili. Pensare cioè che entrambi sconfortavano l uso delle parole ma ne avevano fatto in tutta la loro vita la propria professione come vocazione. Nicola Chiaromonte scrisse tanto e fu uno dei più profondi e originali critici di teatro, Malraux scrisse anche tanto (vinse anche un prestigioso premio Goncourt) ma sempre in questa sconcertante diffidenza verso la parola. L’impressione è che, per tornare al nostro, Chiaromonte riuscisse a trovare per la sua intelligenza una area pneumatica intermedia in cui riuscire a respirare vivere lavorare. Consapevole di quanto fosse improbabile il suo esistere a mezz’ aria. Chissà se la sua passione per il teatro fosse legato a questo. Ciao.
Ezma è una bambina di quasi quattro anni. E’intelligente, vivace, curiosa; è una bimba minutina con i capelli neri e due codini fissati in cima alla testa con due fiocchetti bianchi. Ezma è di una famiglia di Yezidi che vivevano a Shengal (Nord Irak). Durante l’agosto del 2014 sono dovuti scappare dalla furia omicida di quei mostri dell’Isis\Daesh: La loro città è completamente distrutta e da allora, insieme a tanti altri come loro, vivono in campi profughi, prima in Turchia, poi in Irak. La loro casa ora è una tenda. Chissà se Ezma ricorda come era la sua casa o una casa qualunque. Forse qualche vago ricordo ce l’ha ma per fortuna i bambini si adattano più facilmente degli adulti alle nuove situazioni, anche difficili e apparentemente non sembrano risentirne troppo (anche se poi nel profondo non sappiamo cosa succede). Ho conosciuto Ezma nel marzo 2015 quando sono andata a Urfa (Sanliurfa per i Turchi) insieme ad altri membri di una delegazione per il Newoz (Capodanno di origine iranica che per i Curdi ha un alto valore simbolico e identitario) e che oltre ai festeggiamenti per noi è anche occasione di incontri con persone e associazioni della società civile e politica. Quest’anno in più c’erano i profughi. Questo piccolo campo dove alloggia(va)no poco più di duecento persone (dopo la liberazione di Kobanè chi poteva se ne era già andato o era in procinto di farlo) è stato allestito dal Comune di Viransheir (cittadina di circa ottantamila abitanti nella provincia di Urfa). Come tutti i Campi è un po’ squallido, isolato in mezzo alla campagna con le tende allineate in più file ma con le “strade” lastricate (altri campi a Suruch, per esempio erano in mezzo al fango e polvere). Inoltre c’è una tenda cucina,un’infermeria e due tende scuola: una piccola per i bimbi dell’asilo e l’altra più grande per i ragazzi fino ai 14 anni. Insegnanti vengono dalla città vicina e insegnano in Curmanci, lingua curda che in Turchia è proibita ma che nell’Irak curdo è la lingua ufficiale. Questa tenda scuola è abbastanza ampia ed è usata anche come sala riunioni. La co-sindaca di Viransheir inoltre si vanta di aver fornito acqua calda per tutti. C’è poi un campetto da calcio. Ma la vita è molto monotona specialmente per gli uomini che hanno perso il lavoro senza possibilità di trovarne un altro dato che anche qui la disoccupazione raggiunge percentuali altissime. Quando siamo arrivati al Campo, eravamo circa venti persone, Ezma girava da sola mentre in genere i bambini stanno in gruppo. Ed è successa una cosa incredibile: come ci ha visto, la bambina si è avvicinata e ha messo la sua mano nella mia. Mi ha scelto fra tutti. Un momento l’ho lasciata per fare delle foto e un’altra del gruppo l’ha presa per mano ma appena ho finito lei è tornata vicino ed è stata sempre con me per tutto il tempo che siamo rimasti al Campo. Mi ha seguito in una tenda dove ci aveva invitato una famiglia a raccontarci la loro storia e prendere il tè ed è stata sempre in braccio a me. Ezma è anche molto curiosa: voleva vedere come funziona la macchina fotografica e ha scattato diverse volte, ha vuotato tutta la mia borsa per guardare quello che c’era dentro e poi….ha rimesso tutto a posto – cosa che altri bambini non avrebbero fatto probabilmente – e questo mi ha fatto pensare che i suoi genitori le hanno dato comunque una buona educazione. Ezma è un folletto. Gira dappertutto e ovunque e con chiunque si sente a suo agio, come se fosse sempre vissuta lì. Il Campo è la sua casa e il suo mondo dove si muove con molta disinvoltura. Tutti la conoscono e le sorridono e lei ha l’aria di essere la beniamina di tutti. Quando ce ne siamo andati ha pianto e a me si stringeva il cuore. Ormai mi aveva conquistato completamente e non potevo lasciare che la cosa finisse lì come in genere succede in questi incontri: ci si trova bene con le persone, si creano simpatie ed empatie e poi si riparte e tutto finisce. Raramente capita di ritrovare ancor qualcuno in un viaggi successivo e i rapporti restano comunque sempre superficiali.
In viaggio.
Così prima di ripartire per l’Italia mi sono unita a un altro gruppo che si recava a Viransheir e sono tornata al Campo per rivedere Ezma e cercare di stabilire un rapporto meno precario e se possibile duraturo. Quando siamo arrivati io ero un po’ indietro ma l’interprete mi ha poi detto che appena ci ha visto arrivare Ezma che era corsa lì davanti a tutti, ha chiesto subito “Dov’è la mia amica?” Appena mi ha visto mi è corsa incontro con il suo bel sorriso ed è stata quasi sempre con me anche quando eravamo nella “sala riunioni” ad ascoltare i racconti drammatici delle persone scampate alle aggressioni dell’ISlS grazie al salvataggio dei guerriglieri del PKK. Intanto la notizia di questo rapporto speciale tra me e la bambina si era diffusa nel Campo ed era per me doveroso andare a conoscere la famiglia..La loro tenda era tra le più povere: invece dei tappeti avevano solo un telo di plastica sul pavimento e i materassi per la notte appoggiati alle pareti. Così ho conosciuto il padre Elyas che lavorava come poliziotto, o più probabilmente vigile urbano, a Shengal e oltre alla casa distrutta ha perso anche il lavoro. Ha l’aspetto di una persona molto provata, con lo sguardo triste, quasi assente. Sembra abbastanza più anziano della moglie (ma in seguito ho scoperto che lui ha solo 42 anni!) che nonostante i numerosi figli è ancora una donna piacevole. Di figli ne hanno 10, il maggiore di 17 anni lo hanno mandato da uno zio in Germania e là sperano di andare tutti quanti: poi ci sono altri tre maschi e sei femmine un po’ di tutte le età. Ezma è la più piccola e tra lei e la penultima c’è uno stacco di tre o quattro anni. Forse non l’aspettavano più. Sono tutti bambini molto belli , Meruha, (dieci anni) ha degli occhi grigi stupendi, unica in tutta la famiglia, chissà da quale antenato ha ripreso! ma Ezma ha una marcia in più perché è la più sveglia e simpatica. Osman, un ragazzo di Viranshehir che ci ha accompagnato al Campo insieme alla sindaca, ci ha fatto da interprete. Non sa molto bene l’inglese ma si fa capire e capisce. Ho detto che intendo seguire la bambina e sono disposta ad aiutare la famiglia per quanto mi è possibile, l’importante è non perdere i contatti. Naturalmente nella tenda non è mancata l’offerta del tè, un rito a cui neanche i più poveri si sottraggono e sarebbe una grave scorrettezza rifiutare. Quando me ne sono andata è stato un distacco molto triste. Chissà se e quando avrei rivisto Ezma : la vita per i profughi è così precaria e da questo Campo già diverse persone erano partite e altre stavano per farlo: chi può torna alle proprie case specialmente chi viene da Kobanè che per quanto bombardata è ora libera, ma Shengal è in mano all’ISIS. Per un po’ di tempo ho tenuto i contatti tramite Osman, poi un giorno mi ha fatto sapere che la famiglia era tornata in Irak dove il padre aveva ancora interessi e questioni da risolvere, ma a Shengal non potevano tornare per cui sono stati costretti ad andare a vivere in un altro campo profughi allestito dal governo curdo iracheno (Sud Kurdistan) , non lontano dal confine con la Turchia. . Per fortuna ho avuto il numero di cellulare di Elyas e sono riuscita a farci parlare un mio amico curdo. Infatti uno dei grossi problemi di comunicazione è la lingua: loro non parlano inglese e io non conosco né il curmanci (lingua curda) né l’arabo. L’occasione per rivedere Ezma è stato in luglio quando sono tornata in Kurdistan per il matrimonio della mia amica curda Pervin a cui non potevo né volevo mancare. Dopo la festa che si è svolta a Nusaybin sono partita alla volta del Campo di Sexan o Scekan nei pressi della cittadina di Duhok ,(Nord Irak o Kurdistan Iracheno) Mi sono avventurata da sola sottovalutando le difficoltà . Avevo preso un biglietto per Silopi, ultima città nella Turchia ma la frontiera non era così vicina come credevo e così mi hanno ampiamente fregato sul costo del viaggio facendomi cambiare mezzi di trasporto non necessari e conseguenti richieste di soldi in più. Donna, straniera per di più europea, sola, senza conoscere la lingua, un vero pollo da spennare! Ma intanto ero arrivata a Duhok dove, previ accordi telefonici, ho incontrato Ezma con il padre e un autista che mi aspettavano lungo la strada in un posto stabilito. L’incontro è stato emozionante, rivedere Ezma è stata una grande gioia e da come mi guardava ho capito che era così anche per lei. In quattro mesi era cresciuta un po’, sempre magrolina e aveva i codini più lunghi; mi ha accolto con il suo bellissimo sorriso e il suo sguardo vivacissimo. Non mi aveva dimenticato, si stringeva a me ed ha voluto subito venirmi in braccio. Anche in macchina, nel tragitto per arrivare al Campo, mi è sempre stata vicina, mi guardava e sorrideva felice. Il Campo di Shexan è sotto la direzione del governo curdo iracheno, è recintato ed ha un unico ingresso controllato dalle autorità del Campo, mi è parso abbastanza rigidamente. Mi hanno detto che ospita circa cinquemila persone, in massima parte Yezidi per lo più fuggiti da Shengal. Il Campo è molto grande, isolato in una zona desertica dove non si vede una pianta, neanche un cespuglio a perdita d’occhio e non è poi tanto vicino alla città di Dohuk come pensavo. I Campi profughi che avevo visto in Turchia, gestiti dalle municipalità curde o autogestiti erano aperti e le persone erano libere di andare e venire come volevano. Comunque da qui pochi escono: dove potrebbero andare se non sono motorizzati? Sono rimasta al Campo due giorni e ho dormito nella tenda con la famiglia. In realtà le tende sono due, visto che la famiglia è molto numerosa, disposte una di fronte all’altra con il lato anteriore aperto e tra le due c’è un corridoio di sassi largo meno di un metro e coperto da un telo. Come in quasi tutte le tende c’è un condizionatore d’aria (qui fa molto caldo in estate, di giorno credo che si superano i 43 gradi) e questo è l’unico “lusso” insieme ad un piccolo televisore. I bagni sono fuori, in comune con le tende vicine e sono quanto di più squallido abbia mai visto. Due o tre bagni attaccati, poco più di un metro quadrato l’uno, con un rubinetto a circa 30 centimetri dal suolo, in un angolo un buco largo poco più di dieci centimetri e il pavimento in cemento è molto irregolare per cui l’acqua ristagna e non scorre (in confronto il bagno “alla turca” è raffinato.) Unica suppellettile un chiodo attaccato al muro. Ho evitato di fare la doccia visto che stavo poco tempo, ma avrei trovato grande difficoltà ad adattarmi. E’ vero che loro non sono abituati ad avere tutte le comodità che abbiamo noi, ma quelli che hanno costruito il Campo potevano essere un po’ più attenti alle necessità di chi è costretto a restare qui chissà quanto tempo. Di fronte ai bagni, dal lato opposto del rettangolo formato da quattro tende, c’è una cucina, aperta e in comune tra il gruppetto di tende che formano questo piccolo “isolato”. Così si creano piccoli nuclei familiari abbastanza indipendenti e relativamente isolati. Ci sono poi le strade principali abbastanza larghe e polverose che quando piove diventano un pantano anche se qui non credo che piova molto spesso. Abbastanza vicino all’ingresso c’è l’infermeria che funziona solo di mattina con cinque medici che si alternano. C’è un campetto da calcio dove i ragazzi che lo desiderano possono fare una partitella la sera, ma non mi risulta che ci sia un luogo in cui riunirsi o altre strutture per tutte queste persone. Ritengo molto grave il fatto che non ci sia la scuola (a quanto mi risulta. Ci sono volontari all’interno del campo che fanno animazione, o forse scuola, con i bambini) Qualcuno ha messo su un negozietto di generi di prima necessità, con pochi clienti a dire il vero. Lo squallore è totale e l’inedia a cui le persone sono costrette è terribile specialmente per i ragazzi che non avendo niente da fare passano le giornate sdraiati a guardare la televisione; non studiano, non leggono, non lavorano, non aiutano “in casa” e così si impigriscono sempre più con conseguenze che potrebbero essere gravi se questo stato persiste a lungo. Per le donne è diverso: fin da piccole aiutano la madre nelle faccende comuni come tenere in ordine e pulita la tenda, guardare i bimbi più piccoli e poi lavano, rammendano, cucinano… anche loro hanno ore vuote ma almeno possono sentirsi utili. La antiquata mentalità tradizionale impedisce agli uomini di occuparsi di faccende domestiche. Le bambine comunque e le donne in genere sono molto più vivaci e meno rassegnate dei maschi. Per gli uomini è comprensibile: hanno perso il lavoro che spesso si identifica con la dignità, per i ragazzi è ancora peggio come già accennato. Pur essendo il Campo molto vasto la gente si muove poco e resta per lo più circoscritta alle tende vicine o a quelle di amici e parenti. Quasi hanno timore di avventurarsi “più in là”, o almeno questa è stata la mia impressione. Prima di venire avevo chiesto un interprete ma il ragazzo che doveva farlo conosceva l’inglese come io il tedesco: non lo capivo e non mi capiva (anche se parlavo molto lentamente), ad ogni domanda rispondeva “no problem” per cui non sono riuscita ad avere risposte alle molte domande che avevo in mente e questo resoconto è solo il frutto delle mie parziali osservazioni. Poco dopo il mio arrivo è venuto un signore, non so se arabo o curdo, che aveva l’aria di un boss e mi ha fatto molte domande in buon inglese. Mi ha chiesto tutti i miei dati, voleva sapere perché ero lì, preoccupato che fossi una giornalista e mi ha imposto di non fotografare, di non fare domande e soprattutto di non interessarmi o parlare di politica. Alcune domande volevo fargliele io ma appena saputo quel che voleva se ne è andato senza salutare. Poco dopo mi hanno chiamato i responsabili del Campo per vedere il mio passaporto e registrarmi (e questo è normale) ma anche loro temevano che fossi una giornalista e hanno ribadito che non dovevo fare fotografie, eccetto alla famiglia, ma il colloquio è stato molto breve a causa della lingua. Notizie importanti quindi non ne ho avute, ma di foto alcune sono riuscita a farne. Questa insistenza – quasi paura – che fossi una giornalista e volessi parlare di politica forse è dovuta al fatto (ci ho ripensato in seguito) che il Campo è gestito dalle autorità curde irachene e loro non sono contenti che la gente dica di essere stata salvata dai guerriglieri del PKK e YPG, come avevano detto apertamente e con immensa gratitudine al Campo di Viransheir. Infatti nonostante i guerriglieri del PKK e i peshmerga irakeni combattano insiemi contro l’ISIS, c’è rivalità tra loro più che altro a livelli di comando: il governo curdo irakeno non vuole ammettere la superiorità dei guerriglieri e cerca quindi di minimizzare il valore e l’importanza del loro Non so cosa si aspettasse da meintervento soprattutto se messa in relazione con la fuga dei peshmerga che, a Mosul, sono scappati quasi senza combattere e lasciando le armi pesanti agli uomini dell’ISIS. Ho visto un filmato su Shengal con tutta la città rasa al suolo. Mentre lo guardavamo Elyas aveva le lacrime agli occhi. Chissà quante volte lo avrà visto e rivisto.. Deve essere terribile perdere tutto e da una vita normale trovarsi in uno squallido campo profughi con la responsabilità di una famiglia così numerosa. Tramite il signore che parlava inglese mi ha chiesto aiuto per andare in Germania dove è già il figlio maggiore e dove spera che ,almeno, i figli potranno studiare. Non so cosa si aspettasse da me, certo io non ho alcun potere. Ho portato quanto potevo, forse meno di quanto si aspettavano ma per me era il massimo. Per tutti loro l’Europa e la Germania in particolare è vista come una nuova terra promessa dove le persone stanno tutte bene e sono ricche ! Speriamo che non abbiano troppe delusioni quando (e se) riusciranno ad andarci. Una cosa che mi è parsa strana è la domanda che mi è stata fatta due volte: cioè se volevo portare via con me la bambina. Ho sempre risposto che assolutamente no, Ezma non è orfana, ha un padre una madre tante sorelle e fratelli e sradicarla dal suo ambiente non avrebbe senso. Io voglio restare in contatto con lei (e la famiglia) aiutare per quanto posso ma portarla via no, non ci ho mai pensato (anche se mi piacerebbe tenerla per un po’ di tempo) Non ho capito se la domanda nascondesse un timore o un desiderio. Dalle espressioni non ho capito niente come non mi è chiaro se la domanda fosse partita dalla famiglia o un’idea dell’interprete o del “boss” Al Campo mi sono affezionata anche alle sorelle di Ezma: Sonia 8 anni (forse la più bella), Meruha 10 (con la faccia tonda come la madre ma con magnifici occhi grigi, l’unica in famiglia), Wanech 12 (mi è sembrata la più intelligente), Frida 14 ( in bilico fra l’infanzia e l’adolescenza) tutte carine, affettuose, allegre e simpatiche e la più grande Inas che a 16 anni già sembra una donna fatta, aiuta molto la madre e non si unisce ai giochi. I maschi, 9, 13 e 15 anni quasi non mi hanno rivolto uno sguardo e a parte Yussuf, il più piccolo, quando sono partita non mi hanno nemmeno salutato. Le bambine mi stavano sempre intorno ed è incredibile come i mezzi di comunicazione non verbali sono comunque efficaci, loro parlavano, parlavano io qualche volta intuivo, qualche volta no ma andava tutto bene lo stesso. Wanech mi ha fatto fortemente capire che desiderava la portassi via con me e questo la dice lunga quanto -in fondo- sia sentito pesantemente il disagio di questa vita innaturale e senza prospettive. Un piccolo particolare mi ha colpito. In marzo avevo messo al collo di Ezma un fazzolettino celeste, poco dopo non lo aveva più. Avevo pensato che lo avesse lasciato cadere da qualche parte, come fanno spesso i bambini senza neanche accorgersene o senza dargli importanza. Invece , con meraviglia, lo ho ritrovato al Campo in Irak, se lo passavano da una sorella all’altra, e lo mettevano al collo o in testa, e lo tenevano come un oggetto di valore. Per passare il tempo e farle divertire cercavo di inventare qualche gioco ma avevo poca fantasia e non sono andata molto più in la di qualche girotondo ma loro erano contente e ridevano. Quando si ha poco basta pochissimo per divertirsi e la novità della mia presenza era sufficiente a creare un piacevole diversivo nella monotonia della vita quotidiana. Oltre alle sorelle venivano spesso le bimbe delle tende vicine. Ezma naturalmente era sempre la privilegiata. Non mostrava gelosia se le sue sorelle mi abbracciavano ma quando due bambine di circa la sua età si avvicinavano troppo a me, le cacciava anche dando loro delle botte. Ezma è la più piccola e quindi un po’ viziata, se qualcosa non le sta bene e se qualcuno la sgrida anche leggermente si adombra o si mette a piangere. Però dura poco perché ben presto prevalgono la sua naturale allegria e vivacità. Durante le ore più calde (pir germer = molto caldo in Curmancj) almeno 43-45 gradi, quasi non ci si muove dalla tenda ma poi nelle due giornate sono andata con Ezma e Fedha a trovare una fami glia di parenti che mi hanno accolto nella loro casa-tenda e ci sorridevamo continuamente ma purtroppo senza poter comunicare diversamente. Il pomeriggio del secondo giorno siamo andate dal lato opposto del Campo dove sono altri parenti e|o amici e lì c’era un bel po’ di gente: donne di tutte le età e tanti bambini che mi stavano sempre intorno e hanno voluto parecchie foto. In un’altra tenda abbiamo incontrato una coppia giovane con due bambine piccole e una terza in culla nata lì al campo, che ho fotografato insieme al padre ma la madre, una bella ragazza giovane (che non portava niente in testa) non ha voluto che la riprendessi. C’era poi un ragazzo che il giorno dopo doveva andare all’università (dove non so) per dare un esame di inglese. Ho visto il libro, era molto elementare. Lui però, giustamente, era molto preoccupato. Se l’avessi visto prima avrei potuto aiutarlo un po’ ma chissà se avrebbe accettato, qui sono tutti molto schivi e preferiscono offrire piuttosto che accettare. Addirittura la madre di Ezma (Bashin Hoja) mi ha offerto spazzolino e dentifricio! Nonostante il Campo di Shekan sia molto più esteso di quello di Viransheir, o forse proprio per questo, Ezma e gli altri bambini sembrano meno liberi. Ezma che nell’altro Campo girava sola liberamente dappertutto, qui si allontana appena dalla tenda e mai da sola. Forse i suoi genitori temono che possa andare troppo lontano ma apparentemente non ci sono pericoli. Tuttavia sembra esserci “una legge non scritta” che regola e limita i movimenti. Mentre passeggiavo con Fedah perché volevo vedere un po’ più del Campo a un certo punto quasi implorandomi mi ha preso per un braccio e mi ha fatto capire “qui no” ed è voluta tornare indietro. Non ho capito il motivo ma l’ho accontentata. Mi rifiuto di pensare che possano esserci rischi di violenze come mi è stato riferito di un altro Campo (violenze da parte delle autorità che qui sembrano poche persone che restano a controllo dell’ingresso). La partenza è stata molto triste, con Ezma che non si voleva staccare da me e io che mi sentivo un peso allo stomaco pensando alla difficoltà di rivederci. Il viaggio di ritorno è stato quasi un’Odissea. Con la macchina del solito amico siamo partiti verso le 8 per andare a Z., città un po’ più lontana di Dohuk ma dove ci sono autobus diretti per Dyarbakir. Durante il percorso la macchina si è bloccata e abbiamo perso un’ora e mezzo così l’autobus era partito e il successivo era alle 5 del pomeriggio (arrivo previsto 10 di sera) ma alla frontiera Irak-Turchia siamo stati fermi per oltre 5 ore con lunghissime attese tra un controllo e l’altro. Solo il giorno dopo (26 luglio) ho saputo che c’erano stati attentati dell’ISIS e aggressioni da parte dei militari turchi e conseguenti reazioni dei curdi a Diyarbakir e in altre località. Di lì a poco la città di Cizre (che ho attraversato con l’autobus e dove ero già stata nel 2007 e 2011) sarebbe stata oggetto di distruzione e atrocità indescrivibili da parte dei turchi verso la popolazione civile. La guerra non dichiarata ma feroce era cominciata e dura ancora. Non ho più rivisto Ezma. Ogni tanto riesco a mettermi in contatto (indiretto) con il padre, hanno tentato di avere il permesso per andare in Germania e per questo sono stati ad Ankara (non ho capito perché il permesso deve venire dalla Turchia dal momento che loro appartengono allo stato iracheno) ma sono tornati indietro e ancora aspettano. Intanto nel Campo la vita continua monotona e squallida. C’è un loro amico, o meglio compagno di campo, da cui ogni tanto ho notizie tramite face book anche se non sempre il suo inglese è del tutto comprensibile. Da lui ho qualche notizia sulla vita del campo. , ad es. lui, che ha dovuto interrompere gli studi , ha avuto l’incarico di intrattenere i bambini dell’asilo, ma solo per tre mesi, ora il breve contratto è finito. Lì il caldo arriva presto ma l’elettricità funziona poco, i controlli delle autorità sono sempre più rigidi. Quindi la vita è ancora peggiorata e le speranze di averne una migliore diminuiscono. I residenti si trovano in una situazione sempre più insostenibile, vivono in un campo profughi che si sta trasformando in prigione a cielo aperto . D’altra parte è impensabile che questa famiglia tenti di arrivare Europa con barconi o altri mezzi di fortuna con tutti questi figli adolescenti. Mi sento molto triste , vorrei fare qualcosa ma non so che né come., vorrei avere tanti mezzi per dare una mano e aiutare ma sono legata qui e non posso neanche andare a trovarli e portare con me Ezma e una delle sorelline………. Recentemente ho avuto una foto di Ezma (loro scrivono Asma) che ormai ha circa otto anni: è talmente cambiata da essere quasi irriconoscibile. Il suo sorriso aperto e luminoso è sparito lasciando il posto a uno sguardo triste e diffidente. Mi è venuto da piangere.
E’ un romanzo, in parte autobiografico, di George Orwell, terminato nel 1936, è ambientato nella Londra degli anni ’30. Il protagonista è Gordon Comstock, un trentenne di buona cultura che si professa poeta, proveniente da una famiglia borghese,
” mandato a scuola con profondi sacrifici della mamma e della sorella, nella speranza che si elevasse di classe sociale e che trovasse un buon posto, un uomo del ceto medio è costretto a tirare avanti per anni di seguito con un tenore di vita che perfino un operaio a giornata disprezzerebbe”. Gordon si rende conto che il culto del denaro è stato elevato a religione; legge la storia di un falegname affamato che impegna tutto ma non si stacca dalla sua aspidistra “ Fiore d’Inghilterra, dovrebbe essere sul nostro stemma, invece del leone e dell’unicorno. Non scoppieranno rivoluzioni in Inghilterra finchè ci saranno aspidistre alle finestre. L’aspidistra è l’emblema dell’opaca rispettabilità e del conformismo.” ( aggiungerei come il telefonino o l’auto nella nostra epoca ) . Gordon capisce quale è il male di tutta la classe piccolo borghese: non è semplicemente la mancanza di denaro, piuttosto che , “ pur non avendo quattrini, continuano ancora a vivere mentalmente nel mondo dei soldi, quel mondo in cui il denaro è virtù e la povertà è un delitto.” Meglio regnare all’inferno che servire in cielo. Gordon dichiara una guerra personale ai quattrini ma non gli impedisce di essere maledettamente egoista verso chi gli vuole bene, soprattutto la sorella Julia che lo aiuta con grandi sacrifici. Gordon lavora in uffici pubblicitari, “ la cosa interessante della New Albion consisteva nel fatto che era una ditta di spirito così moderno. Non c’era nessuno tra i suoi dipendenti che non si rendesse perfettamente conto di come la pubblicità sia la truffa più sudicia che il capitalismo abbia mai perpetrato… La maggioranza dei dipendenti appartenevano al tipo americanizzato, aggressivo, dei duri, quel tipo per il quale nulla al mondo è sacro, eccetto il denaro. Mettevano in pratica il loro cinico codice morale. Il pubblico è fatto di porci; la pubblicità ( e/o la politica? ) è il rumore che fa il mestolo rimescolando il pastone nel truogolo. … Gordon li studiava discretamente. Egli disprezzava e respingeva la morale del denaro.” Sarebbe riuscito a tagliare la corda… si trovava nel mondo del denaro, ma non ne faceva parte; lui non è il tipo che Fa Bene , per lui la vita d’ufficio è insignificante. Dopo i primi anni abbandona bruscamente il lavoro d’ufficio, se ne va senza nessun motivo. “ Voleva bruciarsi le navi alle spalle” ( un Chris Mc Candless degli anni 30 ) , vivere senza puzzo di denaro, vivere nel tentativo di respingere asceticamente la schiavitù del denaro. Gordon attua un volontario declassamento che lo porta a scendere i gradini della scala sociale e a vivere in condizioni di povertà, estrema, e squallore sempre maggiori. Anche i rapporti con le persone di riferimento della sua vita, la fidanzata Rosemary, la sorella Julia, l’amico Philip Ravelson, si degradano e si spappolano. Comstock vuole precipitare nel fango, vuole sottrarsi alla “ dignità e decoro borghesi” , gli piace pensare alla gente perduta, la gente del sottosuolo, i vagabondi, i mendicanti e le prostitute…Non vuole far parte del sistema, di chi Fa Bene. ( come P. K. Dick, mi considero un visionario tra i ciarlatani, e allora mi viene in mente il dialogo tra Amleto e i suoi falsi amici Rosencratz e Guildenstern nel secondo atto dello Hamlet shakespeariano, Amleto dice che la Danimarca è una galera, Rosencratz risponde che Allora lo è tutto il mondo, e Amleto replica che Certo, una gran bella galera con tante celle e bracci e segrete. E la Danimarca è una delle peggiori. O forse dovremmo reagire come fece Salvador Dalì, il cui anagramma è Avida Dollars, che tenne a Londra una conferenza con uno scafandro da palombaro? P. K. Dick dice che c’è una rovinosa entropia, tutto si sarebbe fuso e avrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di Palta …) “ Nessun uomo ricco riesce mai a camuffarsi da povero, perché il denaro, come il delitto, prima o poi salta fuori” l’amico Ravelston è il redattore di “Anticristo” , un mensile piuttosto intellettualistico, socialista in un suo modo violento ma vago; in generale, dava l’impressione di essere diretto da un ardente nonconformista che avesse trasferito il suo giuramento di obbedienza da Dio a Marx ( Marx, a proposito delle rivoluzioni borghesi che hanno distrutto i valori del mondo antico, dirà che tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria ) e così facendo si fosse impelagato con una banda di poeti paroliberi, o parolieri. Ravelston è un intellettuale dell’alta borghesia aderente al marxismo, anche se si vergognava non era capace di tirare avanti senza la sua cospicua rendita di 800 sterline all’anno, secondo lui il minimo per campare, più di venti volte lo stipendio di Comstock. Inoltre “nutriva l’ingenua fiducia che entro breve tempo il socialismo avrebbe messo a posto ogni cosa. Il capitalismo era un fenomeno temporaneo che era nella sua ultima fase.” L’amico Ravelston rimaneva spesso imbarazzato ma non prendeva mai una posizione netta. Gordon sapeva benissimo che i contatti con i ricchi, come le gite in alta montagna, devono essere sempre brevi. Ravelston e Rosemary avrebbero volentieri aiutato finanziariamente Gordon ma lui non ne voleva sapere, rispondeva: “ Ho dichiarato guerra al denaro e devo stare alle regole del giuoco; la prima regola è di non accettare la carità, la carità uccide l’amicizia. Il cupo spleen di Orwell è rischiarato solo dal grande e incondizionato amore di Rosemary, lei che pensava a se stessa come una ragazzina e così la percepivano tutti gli altri, adorava Gordon e non si vergognava mai di dirgli quello che pensava; lei non diceva mai “ Gordon ha ragione in teoria “, era convinta che un buon posto di lavoro non si rifiuta mai però accettava la sua caparbia ricerca di povertà. Insisteva col suo tipico furore femminile, la sua pazienza e la sua costanza da donna, ma lo amava, sempre ( Le donne, come dice Andreoli, vivono di più, vivono più intensamente, e se lo meritano ) . Ma Gordon vuole scendere sempre più nel fango, nella palta di Dick, vive in un posto che è quasi uno slum, fa un lavoro da fallito all’estremo, un lavoro senza luce, senza via d’uscita, senza possibilità di riscatto. “ Ha solo il desiderio di sottrarsi ad ogni sforzo, a ogni decoro, di affondare, sprofondare nel fango. Non era solo dal denaro ch’egli si ritraeva ormai, ma dalla vita stessa.”
Quando ormai sembra tutto perduto, anche l’amore di Rosemary e l’amicizia con Ravelston, accade che Rosemary gli dice di essere incinta, ma non ha nessuna intenzione di legarlo con un matrimonio riparatore non voluto, al limite preferisce farsi macellare con un aborto. Gordon deve scegliere tra due possibilità, rifiuta senza esitazioni la possibilità di un aborto clandestino e decide di diventare un “ “uomo rispettabile” e di assumersi le responsabilità che aveva sempre scansato, bollandole come scelte di ordinario conformismo. Si rende conto che la sua scelta non è dovuta a Rosemary e al bambino, che sono comunque la ovvia causa e l’elemento di decantazione; alla fine Gordon non manca di vitalità e la squattrinata esistenza a cui si era condannato lo aveva spietatamente gettato fuori dalla corrente della vita. Decide di tornare a fare il pubblicista, tanto era un poeta e quello sapeva fare, scriverà le frasi dei cartelli pubblicitari che prima aveva sempre odiato. Capisce che “ la nostra civiltà è fondata sull’avidità e la paura, ma nelle vite della gentarella comune, avidità e paura sono misteriosamente tramutate in qualcosa di più nobile.” Quei piccoli borghesi là, dietro le loro tendine ricamate, coi loro figli, i loro mobili dozzinali e le loro aspidistre, essi vivevano secondo il codice del denaro, senza dubbio, e riuscivano ciò nonostante a conservare la loro dignità. Avevano le loro norme, i loro inviolabili punti d’onore. Si mantenevano rispettabili: facevano garrire le loro aspidistre, come bandiere. E poi erano vivi . Erano avvolti nell’involto della vita. Generavano figli, cosa che i santi e i salvatori di anime non hanno mai avuto il modo di fare. Le ultime tre parole del libro sono il pensiero di Gordon: “ Vicisti, o Aspidistra! “ Vince l’aspidistra, vince il sistema fondato sul denaro, ma resta la dignità dell’uomo e la sua difesa della famiglia, e le donne sono le vere eroine del romanzo, l’unica vera luce nel cupo, malinconico spleen, così realisticamente tracciato da Orwell; è la solita faccenda del dito e la luna, il problema non è il denaro ma l’uomo
Oggi una giornata di campagna. Mi sono dedicato ai marginali. Sono questi degli alberi un po’ speciali. Racchiudono in se’ l ‘assenza di una volontà umana, nessuno li ha voluti, ma anche la forza di resistere al peggio, che in campagna vuol dire siccità, gelate e malattie; ma oltre questo portano nel loro essere la vita che avviene nel terreno limitrofo, di cui risentono costantemente. Se il vicino ara molto e tu invece no, la tua pianta andrà con le radici e i rami verso quella direzione. E regalerà i suoi frutti di la dal muretto di pietre. Lo stesso vale per l acqua.
C é in questi alberi una stanca assenza che poi è proprio ciò che li rende affascinanti ed in alcuni casi struggenti. Questo dipenderà anche dal tipo di albero. Quelli eleganti, ieratici armoniosi nella fronda, si vestiranno poco di quella marginalità. Quelli che rendono più il senso di essa sono i poveri mandorli o i perastri o le ficare o i melograni o i sorbi o le giuggiole. Ti dicono di abbandonarti alla vita ma di resistere, ti insegnano ad adattarti ma anche ad assorbire da ciò che ti è vicino. E proprio in questo abbandonarsi vivo, in questa passività mediocre e senza pretese di aiuto, ti donano attraverso il frutto la loro dolcezza rustica. Sono come dei barboni o dei vecchi dimenticati da tutti che ti offrono inaspettatamente un viatico per esistere fatto di poche frasi e di sguardi fissi sull orizzonte.
La lezione di Albert Camus nel suo “L’uomo in rivolta” (ed Einaudi) ha il merito di essere stata prima ed illuminante. Camus ebbe la capacità ma anche il coraggio, in anni in cui non essere rivoluzionari ed essere di sinistra appariva un controsenso, di affrontare la questione. Da buon filosofo affrontò la materia alla radice, individuando quale fosse il nesso fra le rivoluzioni e gli autoritarismi, nesso che la storia dalla rivoluzione francese in sù aveva documentato. Le rivoluzioni avrebbero avuto insita la logica del potere, con conseguenti sbocchi sociali di tipo autoritario o coercitivo. Con Bakunin, che più che rivoluzionario era un rivoltoso, le cose cambiarono perchè alla base non c ‘era più la conquista del potere ma la distruzione dello stesso. E la conseguenza di ciò era la frammentazione dello stesso. L’autogestione delle fabbriche o delle comunità rurali (in queste ultime l’autogestione era patrimonio millenario) era una conseguenza di questa linea di pensiero volta al rifiuto di qualsiasi potere centralizzante. L’aggiunta di Camus a questo discorso è quella di riconoscere il valore della rivolta, che anche sembrando disordinata, non programmata, spontanea, emotiva è immune dalla vocazione concentrazionaria del potere. In una società complessa come l’odierna la rivolta rimane una naturale espressione di stati d’animo individuali o collettivi. E sarà sempre chiaro dove sta il potere e che mezzi usa per sedare. In questo senso c’è chiarezza e coerenza. Il valore della testimonianza, che è un concetto fattosi forte con il cristianesimo delle origini, non è materia da trattare con sufficienza. E’ quello che rimane del proprio essere e delle proprie azioni, al di là delle vittorie conseguite.
E’ la mattonata che permette di camminare a chi seguirà. Chiaramente tutto questo ha una logica controrivoluzionaria. E per me quest’ultima è una bella parola… Il gradualismo può rappresentare la pratica politica di elezione.Il concetto è semplice: in una società complessa e variegata, con un potere sempre più concentrazionario e capace di controllare anche il tuo respiro può essere più proficuo lavorare ai fianchi il sistema puntando ad inserire elementi di libertarismo dovunque sia possibile. L’innesto di forme di autogestione, la critica radicale al potere con la consapevolezza che esso rappresenta il tuo primo avversario, la testimonianza di modelli altri di vivere lavorare stare insieme etc, la partecipazione attiva attraverso la formazione di piccoli gruppi che attraverso la disomogenità arricchiscano il modello asfittico dominante. Essere in tanti e diversi è l’eredità dei nostri anni settanta, quando avevano diritto di esistere politicamente anche i singoli, vi ricordate i “cani sciolti”? Mbeh.. ditemi quel che volete ma per me tutto questo e altro ancora è il gradualismo
Risposta di Massimo 12 settembre
Riporto dal blog Finimondo questo racconto che devi leggere e poi passo alla conclusione:
Lo ammetto, anch’io sono rimasto folgorato dalla ragazzina svedese con le trecce. Me ne sono innamorato quasi all’istante. La sua indipendenza nei confronti degli adulti, il suo coraggio nell’affrontare le forze dell’ordine, la sua sfida alle convenzioni sociali, la sua sfrenata voglia di vivere in un mondo favoloso che sia tutt’altro da quello cui purtroppo siamo tutti abituati, il suo amore per la natura… incantevole, davvero. Ecco perché trovo deprimente che la dolce e sorridente Pippi Calzelunghe sia stata oggi dimenticata a favore della pedante e corrucciata Greta Thunberg. Pippi sapeva sparare con la pistola, Greta sa parlare ai vertici politici. Pippi aveva una tale forza da sollevare un cavallo, Greta ha appoggi tali da interessare i mass media internazionali. Pippi era figlia di un oscuro marinaio, Greta è figlia di celebri artisti. Pippi aveva al suo fianco il cavallo Zietto e la scimmietta signor Nilsson, Greta ha al suo fianco il pubblicitario Ingmar Rentzhog e l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Pippi era in possesso di un tesoro pirata con cui soddisfare i suoi bisogni vitali, Greta è posseduta dalle start-up tecnologiche che devono soddisfare le proprie esigenze mercantili. Pippi ha incoraggiato generazioni di bambini a credere in se stessi e nei propri sogni più folli (vivere in libertà), Greta incoraggia le classi dirigenti a correggere se stesse per realizzare la propria ambizione più banale (salvare il capitalismo). Con il suo universo fiabesco Pippi la ribelle (ci) metteva al riparo dalla legge e dall’ordine, con il suo universo real-politik Greta l’attivista (li) mette al riparo dalla rivolta e dal disordine. Che abissale differenza! Oggi in tutto il mondo si sono tenute manifestazioni di protesta contro il cambiamento climatico. È il venerdì per il futuro, l’idea ispirata da Greta (o da chi per lei) di uno sciopero globale a favore del clima. Ma qual è la causa principale del cambiamento climatico? L’attività industriale destinata alla produzione di merci e servizi. E chi compie, sostiene e finanzia questa attività? Piccole e grandi imprese, con il sostegno diretto dello Stato. È questa la ragione per cui tutti questi attivisti ambientalisti chiedono a burocrati e funzionari di promuovere leggi ed iniziative in grado di permettere lo sviluppo di un capitalismo verde e sostenibile? Perché, essendo loro i responsabili del cambiamento climatico in corso, spetta a loro risolvere i danni che stanno causando? Non è una richiesta più che logica, è una pretesa del tutto idiota. Chiedere allo Stato ed alla grande industria di abbassare drasticamente le emissioni di anidride carbonica è come chiedere ad uno squalo di ridurre drasticamente la sua ricerca di cibo. Lo squalo affamato di carne continuerà a fare strage di esseri viventi, così come il capitalismo affamato di profitto continuerà a saccheggiare risorse naturali. La soluzione non può arrivare da chi costituisce il problema. Marciare in difesa del clima per chiedere alla classe dirigente una politica più ecologica non è che un’ottima ginnastica dell’obbedienza. Si muovono le gambe per affidarsi ai parlamentari, si agitano le braccia per dipendere dai ministri, si scrollano le teste per chinarle davanti ai governanti. Ci si mette in movimento, ma solo per prendere (e farsi prendere da un) partito. Mens servile in corpore sano. Ecco perché la pacifica e compita Greta è tanto apprezzata dai politici meno beceri e reazionari. Io no, non la reggo. No, dico, volete mettere con l’altra ragazzina svedese, quella coi capelli rossi, quella che si veste in maniera trasandata, se ne frega di avere le lentiggini, porta scarpe di una misura cinque volte superiore alla sua e si eccita «all’idea di vedere l’isola Cip-cip; starsene distesi a riva e immergere gli alluci nel vero e proprio Mare del Sud, mentre basta sbadigliare perché una banana matura vi cada dritta in bocca»?
Dopo aver letto questo breve racconto mi rendo conto di quanto le “strategie” anarchiche abbiano il fiato corto, non tenendo il filo del tempo,ma rivolgendosi ad un periodo, quello ottocentesco,in cui ferveva un dibattito tra liberalismo, il cui paradigma era la liberta’ individuale, e il socialismo, con il suo paradigma di uguaglianza. L’Anarchismo aveva un funzione quasi demiurgica, sincretica, perche’ superava le posizioni liberali e socialiste in favore di una inscindibilita’ tra liberta’ e uguaglianza, facendo sintesi, come si dice oggi, di due tendenze contrapposte nella pratica politica. . Di qui, appunto, la natura sincretica dell’ideologia anarchica: appena si fa riferimento ad un valore, ad un concetto, immediatamente questo richiama tutti gli altri, e tutti non reggono, da un punto di vista anarchico, se non pensando l’uno in riferimento all’altro. Ecco perché l’anarchismo è un’ideologia carica di ‘esagerazioni’ . Tutto è esagerato, nell’anarchismo, perché tutto è necessitante: ogni valore è assunto infatti nella sua integralità effettiva e nella sua radicalità ontologica . La libertà, l’uguaglianza, la diversità, la solidarietà, i valori fondanti dell’ideologia, sono portate alla loro verità ultima” (21).(G.Berti)
Fallite le rivoluzioni, che hanno in se’ i germi di un nuovo dispotismo,come hai ben detto, Anche il Gradualismo di impronta Goodmaniana non puo’ incidere nel corpo del Potere, risultando quel “proficuo lavorare ai fianchi” da te auspicato una mera speranza vanificata, scusami la metafora, dalla mancanza di questi fianchi del Potere,oramai virtualizzati in un ologramma fatto di clik anonimi di una tastiera che sposta miliardi di euro da un capo all’altro del mondo, senza confini e senza immaginare conseguenze. Cosa rimane, se qualcosa rimane? Rimane la vitalita’ di Pippi, la sua allegria,il suo coraggio, la sua gioia di vivere, che nessuno potra’ toglierle. Lei balla sulla tolda del Titanic, ma almeno si sta divertendo.
Risposta di Fernando 13 settembre.
La risposta credo che sia: il cambiamento vero é sempre frutto di un lavoro lungo e paziente. In politica come in tutte le cose agire frettolosamente fa essere sbrigativi. Da l impressione di aver risolto per poi trovarsi peggio di prima. Quella critica radicale che massimo fa al sistema spesso conduce ad una passività sconfortata. Diceva massimo nell ultima riunione che il gradualismo non puo’ lavorare ai fianchi il sistema imperante perché l attuale capitalismo i fianchi non ce l ha. I fianchi ci sono sempre. Semmai manca la testa in questo sistema decerebrato che vertiginosamente si affretta a liquefare il pianeta. Dai ghiacciai in giu’.
Risposta di Leo Giovanni 13 settembre
Sono contentissimo che vi siete riattivati. Non condivido quello che dice massimo di greta. É una posizione teorica che rischia di andar via come il vapor acqueo. Son sicuro che massimo non sarà coerente con quello che scrive 24 H . Sarebbe depressivo . Incompatibile con la vita. Greta ci permette di toccare sentire e sperare. E di dare risposte. Ricordo un esperienza personale qui in puglia. A due passi dal paese nell 80 si era deciso di fare una centrale nucleare. La stessa il cui scheletro ancora si puo vedere a montalto di castro paesino di gente tranquilla semplice accogliente e credulona. Invece nei paesi del mio circondario bloccarono con i trattori all alba la superstrada un sindaco ed altri finirono in carcere per resistenza e si andò sul tg nazionale. I tecnici dell enel che venivano da Roma furono minacciati. Insomma si riuscì a ostacolare. Intanto a Montalto la si costruiva. Poi arrivò Cernobyl e non se ne fece più nulla con il refetendum. Oggi da noi c è una bella riserva naturale dello stato (torre guaceto ) in quel posto. A montalto c è uno scheletro orribile che vi invito a visitare e che ha rovinato tutto quel tratto di mare. A quei tempi c erano i cosiddetti sistemisti come fa massimo. Critica totale al sistema e passività inevitabile. Noi coglionozzi credevamo che si poteva fare qlcs e ci siamo riusciti ciao giovanni leo
Risposta di Carmela 14 settembre.
Guarda massimo chiucchiu: Se tu vivessi in sicilia potrei capirlo. Ma dove sei tu no. I siciliani sono maestri di critica totale al sistema e conseguente rifiuto. E infatti si lasciano andare ad un inerzia che si salva solo con il fatalismo. Chi vuol fare qui trova davanti un muro di gomma. Se organizzi dei gruppi su alcune tematiche c è una indifferenza quasi generale. L associazionismo é scarsissimo. Poi scopri che non vengono agli incontri perche sono stanchi, anche se nullafacenti. O preferiscono il dopocena davanti alla TV perche hanno l abitudine di mangiare troppo. Ma sono sempre pronti a rifiutare qualsiasi sistema. Inquesto humus la mafia ha avuto gioco facile. Spero che da voi sia diverso. Anche se mi dicono che siete ormai colonizzati in umbria dalla ndrangheta. Spero che ci sia gente solerte incazzata militante e con tanta voglia di incontrarsi. Saluti palermitani
Risposta di Fernando 14 settembre
democrazia:
«Il senso del voto democratico non è quello di fotografare la gamma delle opinioni quali si manifestano allo stato brado, bensì di riflettere il risultato di un processo pubblico di formazione dell’ opinione. Il voto espresso nella cabina elettorale acquista il peso istituzionale di una compartecipazione democratica solo in relazione ad opinioni articolate pubblicamente, formatesi attraverso la comunicazione e lo scambio di informazioni, motivazioni e posizioni pertinenti ai singoli temi». Habermas 2012
Quindi la democrazia diventa un atto formativo della singola persona. Attraverso il confronto la polemica lo scontro democratico per habermas il cittadino cambia, si trasforma in altro da prima.
Risposta di Roberto 20 settembre
sono felice che ci siamo riattivati è un importante momento formativo di cambiamento .continuiamo cosi
Risposta di Massimo 22 settembre
E’ ingeneroso, come constato dalle risposte riguardo alla mia presa di posizione nei confronti di Greta Thunberg, definirmi disfattista e velleitario rispetto al rampante cambiamento incarnato da questa paffutella scandinava, che attira, per naturale empatia, le simpatie di tutto il mondo.Cercando di evitare le trappole semantiche e certe naturali propensioni al cinismo, come il fatto che lei e i giovani del movimento Friday for future possano essere manipolati da lobby ecologiste interessate a tutt’altro, rimarcavo semplicemente il fatto che Greta si sta rivolgendo, nelle sue invettive, a quei gruppi di potere mondiale come capi di stato, Onu, potentati economici, che oltre la carezzina sulla testolina e qualche complimento di circostanza, non hanno alcun interesse a recepire alcunche’ delle sue pur intelligenti prese di posizione. Perche’? Uno squalo per vivere ha bisogno di muoversi in continuazione, altrimenti annegherebbe. La societa’ globalizzata e neoliberista ha bisogno di crescere per sopravvivere. Niente crescita,niente sopravvivenza. Ma,mentre lo squalo, nell’equilibrio della Natura, svolge un ruolo di spazzino, utile alla sua ed alle altre specie, la societa’ globalizzata e’ in completo disequilibrio rispetto all’ambiente, seccandone tutte le risorse come un cancro che aggredisce un malato.E non possiamo aspettarci alcuna soluzione dalla sua stupida ancella, la tecnologia, che non e’ altro che la scienza che inventa “cose che funzionano”, non avendo in se’ neanche l’anarchia della ricerca pura fine a se stessa. Se dovessi dare un consiglio a Greta, in merito al riscaldamento globale e all’inquinamento del nostro pianeta, e’ quello di divulgare e fare da volano ad una forte presa di coscienza su questi temi, accompagnato dall’esempio di una vita frugale francescana, con limitato uso dei vari gadget elettronici, con tendenza all’impatto zero rispetto al consumo di fonti energetiche tout court. Anche le cosidette energie rinnovabili, tanto amate dai pasdaran ecologisti, hanno un forte impatto sul pianeta. Qualcuno ha visitato gli alvei dei fiumi imbrigliati da dighe,condotte,prese d’acqua che convogliano verso le centrali idroelettriche? C’e’ una perniciosa tendenza anche dai difensori della Natura a credere che la tecnologia possa risolvere i problemi da lei creati. Ma la tecnologia e’ schiava dell’economia, non esiste fuori da essa, e questo e’ il dramma dell’uomo. Anche il tema di combattere per non fare costruire le centrali, come a Torre Guaceto, mi lascia perplesso, a mio avviso si tratta di una guerra tra poveri, quello che ipocritamente non si e’ costruito la’, magari si e’ fatto in altro luogo d’Italia. Onore alla furbizia e al levantinismo delle terre pugliesi, ma si ha lo stesso genere di soddisfazione del comune di Salice d’Ulzio, comune denuclearizzato, a 100 km dalla centrale nucleare francese. Sono belle soddisfazioni nascondere la polvere sotto il tappeto.
Per chi non e’ molto paziente minuto 7:23
Beh, all’epoca c’era molto nichilismo.
Mi piace immaginare che Pippi Calzelunghe avrebbe invece risposto:
La crisi politica che ha investito il nostro paese rappresenta, non essendo ne’ la prima ne l’ultima possibile del mondo occidentale evoluto e affluente, rappresenta dunque l’utimo sbocco della crisi delle democrazie nate all’ombra del secolo breve e delle due grandi guerre mondiali.In sovrappiu’, alla crisi delle rappresentanze parlamentari europee ed americane, si accompagna la nascita di entita’ superstatali come la Comunita’ Europea che, in un paese fragile istituzionalmente come l’Italia, fungono da volano per mettere a nudo le contraddizioni in cui si dibatte da sempre l’Italia.Se a tutto questo sommiamo il fenomeno economico paradigmatico chiamato globalizzazione, e’ chiaro che le antiche forme di democrazia appaiano fragili e lente di fronte al tumultuoso corso degli eventi che caratterizza lo scenario economico-sociale mondiale.In Italia, in particolare, il bizantinismo politico ha creato un terreno in cui le rappresentanze parlamentari hanno un forte carattere autoreferenziale, tutto volto al mantenimento dello status quo e al non risolvimento dei problemi sociali creati da loro e dalle scellerate politiche neoliberiste che oggi imperversano come linea comune delle economie di quasi tutti gli attori del teatro globale. In questa cornice, nel nostro paese, che e’ bene rammentare essere un paese con limitata autonomia politica dovuta agli scellerati esiti delle due guerre mondiali, si sono sempre affrontate due tendenze politiche ben divaricate: l’impostazione neoatlantista a matrice cristiana, ancorata ai valori delle democrazie anglosassoni declinata con i valori protestanti, inclusivi e compassionevoli, e l’altra tendenza legata alla matrice marxista e alla filosofia Continentale, con l’individuo schiacciato nelle prassi dello Stato onnipresente. Dalla coazione di queste imponenti forze ne e’ uscito uno Stato pletorico,iperburocratico,lontano ma oppressivo,inefficente per definizione,creatore di lavoro fasullo volto solo al mantenimento dell’imponente,elefantiaca macchina burocratica, in chiave di consenso elettorale.
La novita’ della crisi odierna e’ che certi ruoli standardizzati in passato, Occidente e Marxismo, burocrazia ed efficentismo, paiono mescolarsi e alle volte scambiare di ruolo, in una maionese impazzita che rende incerti gli elettori, alla costante ricerca della Nobile Figura che li possa condurre fuori dalle sabbie mobili dei tempi odierni. Parole d’ordine semplici ed efficaci,difesa del localismo, chiusura a qualsiasi novita’, fanno emergere personaggi come Trump,Putin Orban e da noi Salvini, che espletano questa esigenza degli spaventati elettori, che in quegli slogan reiterati ad libitum ritrovano quelle radici spazzate via dalla globalizzazione e dal nichilismo. Beh, non ci voleva uno scienziato per capire che la globalizzazione avrebbe portato alle odierne conseguenze, quando ad un tavolo si invitano tutti gli astanti, non e’ che i nuovi arrivati si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo. Di controcanto i marxisti come al solito scambiano lucciole per lanterne, giudicando la globalizzazione il trionfo delle masse popolari con altri mezzi (rispetto alla rivoluzione armata e alla disinformacija). Contenti loro, arroccati nelle dacie di Capalbio, a discettare di un mondo tutto chiuso nelle loro teste, non rimane che riflettere sulla figura emergente di Conte Giuseppe, che da damerino impomatato dai gesti sempre improntati a cortesia e gentilezza, si erge a custode delle istanze del Clero Cattolico, cercando una mediazione tra populismi, popolarismi ed elites, con l’avallo delle gerarchie Eclesiastiche piu’ nascoste e che sempre hanno mosso gli interessi del nostro paese, al di fuori del ruolo di vassallaggio che ci compete per inclinazione storica.
Comprendere Murray Bookchin significa integrarlo nel flusso storico dell’anarchismo sociale, specialmente quello di impronta russa, Kropotkin e il suo mutuo appoggio, ma anche nel più generico Illuminismo francese, con la fede che ha sempre nutrito nella capacità razionale dell’uomo. Certo, non tutto l’ Illuminismo era accettato da Bookchin come salvifico: “-l’Illuminismo del XVIII secolo aveva limiti non indifferenti, eccesso di razionalismo, meccanicismo, dualismo, ciononostante ha lasciato alla società valori ed ideali eroici.-”
Ed ancora: -” l’Illuminismo ha concepito l’idea di un interesse umano generale, contrapposto al provincialismo feudale……..
La più preziosa eredità lasciata dall’illuminismo e’ la concezione di un umanità come unità in una società libera, accomunata da ragione ed empatia-.”
Essendo intellettuale del ventesimo secolo, Bookchin è stato tra i primi ad innestare nel generico corpus dell’anarchismo libertario il concetto di ecologia, trapiantato nella pratica della società ecologica. Dobbiamo ricordare che il nostro autore viene da una tradizione culturale americana profondamente coinvolta in concetti come libertà e natura: esempio John Muir oppure H.D. Thoureau e la sua Disobbedienza Civile.
Il fascino della libertà e della natura incontaminata con cui l’uomo deve avere un rapporto paritario, vengono accettati di default da Bookchin e da tanti altri anarchici d’oltreoceano, con posizioni come il Primitivismo o la proposta provocatoria di Akim Bey. Ma Bookchin rimane legato in maniera ortodossa all’analisi sociale, bollando come” tentazioni antirazionali teistiche, antisecolari”certe manifestazioni scaturenti in seno ai movimenti femministi ed ecologisti.
Proprio il carattere ambiguo dei nostri tempi, la mancanza di identità individuale e di senso sociale, la perdita di fiducia in caratteristiche umane come il pensiero concettuale e sistematico, l’attacco diffuso contro la ragione, la scienza e la tecnologia come portatrici di soluzioni ai problemi, sono viste come matrici della condizione caotica in cui è piombata la società attuale.
Rifiutando la semplice contrapposizione tra società e natura, Bookchin afferma in primis che-” Tutti i problemi ecologici sono problemi sociali e non semplicemente il risultato di concezioni religiose, spirituali o politiche-“
L’emergere della società è un fatto naturale che trae la sua origine dalla biologia della socializzazione umana. “-I rapporti di sangue madre figlio e le cure parentali protratte nel tempo ci dicono che siamo in presenza non semplicemente della riproduzione biologica, ma della riproduzione della società stessa.-” La partecipazione il mutuo soccorso, la solidarietà, l’empatia, sono caratteristiche dei primi raggruppamenti umani, che in seguito si sono formalizzati in vere e proprie strutture sociali sempre più complesse.
L’ecologia sociale deve mostrare, secondo Bookchin, in quale momento dell’evoluzione sociale si sono prodotte queste rotture che hanno portato la contrapposizione tra società e mondo naturale.
Il trauma che ha prodotto Il dualismo società- natura, è da ascriversi all’emersione delle gerarchie nelle prime società umane. Il dominio dell’uomo sull’uomo è venuto prima dell’idea di dominare la natura.L’ ecologia sociale chiarifica come le gerarchie, in natura, sono proiezioni dei nostri sistemi di controllo sociale. In campo animale il dominante è occasionale: lo stesso termine di gerarchia, etimologicamente parlando, ha significato sociale, non zoologico; indica il livello in cui erano indicati dapprima gli Dei e in seguito le strutture del clero.
C’è un continuo forviante tentativo di individuare nel mondo naturale un carattere etico. L’intenzionalità e la volontà animale sono troppo limitate per produrre un etica.
L’ecologia sociale evita i semplicismi delle concezioni dualistiche marxiste e la rozzezza del riduzionismo ecologico, che fa tabula rasa della cultura umana. Le società organiche preletterate erano formate sul principio del “minimo irriducibile, sull’arte della persuasione, sull’ uguaglianza sostanziale ed infine sull’usufrutto”. Le risorse disponibili a chiunque ne avesse bisogno. A spezzare questo equilibrio tra pari, la logica e i dati antropologici a nostra disposizione suggeriscono che la causa sia scaturita dal prestigio accumulato dagli anziani, che appaiono essere coloro che hanno dato il via ai primi sistemi istituzionalizzati di comando ed obbedienza.
La differenziazione gerarchica, rimodellando le relazioni esistenti nelle società preletterate, ha dato origine ad un sistema di status, in anticipo all’emersione di relazioni strettamente economiche, che stanno alla base dell’analisi sociale marxista. La gerontocrazia, a giudizio di Bookchin, è stata la prima forma di gerarchia ed il primo caso in cui la conoscenza di dati, tecniche di sopravvivenza è diventato territorio esclusivo degli anziani dei villaggi. Anche il ruolo della donna, dapprima paritario, dato che molte società arcaiche erano matricentriche , vedi il culto della dea madre, è franato in posizione subalterna rispetto allo status dell’anziano saggio.
La successiva svolta storica, che incontriamo è stata l’emergere delle prime città, ambito territoriale in cui le affinità ancestrali, basate sui vincoli di sangue, sono state sostituite dal luogo di residenza e vincoli economici. “-La gerarchia è entrata a far parte integrante dell’inconscio umano, mentre le classi sociali diventano l’aspetto più rilevante di un umanità conflittuale e divisa-“.
Terza ed attuale svolta storica é quella dell’avvento degli stati nazionali e del capitalismo industriale. Tutto questo incedere storico, nota Bookchin, non è stato così lineare come sembrerebbe ad una superficiale analisi storica, ma pieno di deviazioni, di compromessi, di contaminazioni che risultano superflue in una trattazione così sommaria e rapida rispetto alla ponderosa ricerca antropologica dell’autore.
Basta, ad esempio, ricordare il bivio in cui si è ritrovata l’Europa medievale quando poteva muoversi nella direzione di una Confederazione di città stato, come avvenne nel episodio storico della sconfitta del Barbarossa ad opera delle città dell’Italia settentrionale. Per Bookchin le città italiane nel Medioevo rappresentano un esempio mirabile di come si dovrebbero organizzare i consorzi umani attraverso un consesso di municipalità In equilibrio. Durante il periodo successivo c’erano forze non irrilevanti che tendevano ad inibire lo sviluppo e l’ascesa del capitalismo, come i consorzi artigianali che privilegiavano la cooperazione rispetto alla competizione.
“-L’ideale del limite, la fiducia nella Grecia classica, nella aurea mediocritas non ha mai perso interamente la propria influenza.-”
Purtroppo la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, sappiamo tutti com’è andata a finire. La situazione catastrofica in cui si trova il nostro pianeta, tra effetto serra e cambiamenti climatici, inquinamento dei mari, rischio estinzione per molte specie viventi, porta Bookchin a postulare che il capitalismo sia inemendabile, irreformabile, essendo intrinseca alla sua natura l’uso e l’abuso delle risorse naturali. Bisogna volgersi verso nuove, o antiche, forme di rapporti sociali. Per questo l’autore nega legittimità a quelle organizzazioni ecologiste che svolgono attività parlamentare, legittimando con questo lo Stato e le sue funzioni.
Stato che, nella riflessione dell’autore,non puo’ essere rappresentato nel Parlamentarismo perche’ “-ogni uomo normale ha competenza nel gestire i problemi della societa’ e della comunita’ di cui è membro-“.
Il nuovo programma libertario va riformato tenendo presente il più certo dei limiti del capitalismo:“- il limite ecologico che il mondo naturale oppone alla crescita incontrollata-“.
Le decisioni, in ambito comunitario, prese a maggioranza in assemblea popolare. Le soluzioni pratiche che si possono attualizzare per dar voce all’impellenza del cambiamento sono schematicamente : Orticoltura organica, acquacultura, energia da fonti rinnovabili, tecniche compostaggio e riciclo rifiuti, confederazioni di comuni, rifiuto nazionalizzazione imprese, municipalismo libertario, assemblee cittadine, economia basata su sistemi federativi a base regionale, trasporti con veicoli collettivi, attività lavorative diversificate favorenti le inclinazioni personali, produzione improntata alla qualità artigianale, impianti industriali piccoli e polivalentì, sviluppo di strumenti che permettono il risparmio del lavoro e favoriscono il tempo libero.
Nel variegato mondo dell’anarchismo americano Bookchin è figura eminente, ma anche piuttosto isolata rispetto ad altre forme di anarchia più nichiliste come il biocentrismo, che nega l’unicità e la peculiarità della collocazione umana nella natura, oppure l’Anarco- primitivismo,di impronta rousseuiana, che vagheggia il ripudio totale della tecnologia e del linguaggio.
In Bookchin la teleologia, un disegno Divino nel destino umano, è bandita, ma non un’evoluzione verso una crescente differenziazione, complessità, individualità che vede nell’umanità il suo apice. Rivoluzione partecipativa, sviluppo cosciente che, con scelte che, seppur limitate, contengono gli elementi di una libertà. L’umanità è voce potenziale della natura che si fa coscienza di sé, che si autodetermina.
Per Bookchin il biocentrismo svaluta l’attività volontaria dell’uomo e ciò è contraddittorio rispetto al fatto che l’anarchismo è intervento attivo nel mondo. L’etica ecologica afferma che la realtà è sempre formativa, ciò che può essere è altrettanto reale e oggettivo di ciò che è in un dato momento.
Da smaliziati naviganti del xxì secolo non possiamo non notare certe “forzature” intellettuali a cui l’autore sottopone la realtà sociale.
Tralasciando le continue critiche tra le varie anime anarchiche (invero soprattutto di matrice americana), incentrate sul ruolo dell’uomo nel divenire oppure sull’ingenua fiducia nel “mutuo appoggio” di Kropotkiniana memoria, il pensiero di Bookchin ha fortemente
influenzato il Movimento politico del Kurdistan Libero, che ha messo in pratica nelle sue enclaves, pur con le difficolta’ del caso, parte dei suoi dettami, in primis municipalismo e ruolo politico paritario tra uomini e donne.( Il doppio sindaco in alcune citta’ liberate).
Ma cio’ che lascia piu’ perplesso nel nostro Autore, e piu’ in generale nell’Anarchismo, e’ squisitamente filosofico: come e’ possibile tralasciare, nella disamina della genesi delle gerarchie come fattore divisivo uomo-natura, come e’ possibile, dicevo, dimenticare il ruolo del Sacro, inteso non nel senso religioso ma nell’ancor piu’ antico senso del Mistero e della Paura all’alba della cognizione umana, e come e’ possibile tralasciare l’assetto psicologico dell’uomo moderno, quello che chiamiamo Coscienza Individuale?
Paleoantropologia, cognitivismo, linguistica, filosofia del corpo convergono verso un’analisi complessa delle societa’ umane che mancano completamente nell’anarchismo, che pare rimane limitato all’ambito sociologico, pur con lo sforzo che fa rispetto al marxismo che individua nelle classi economiche il nodo del problema. A mio parere anche lo sguardo anarchico e’ miope, riflettendo in Bookchin certe infatuazioni della sua epoca, come quella della messa al bando della gerontocrazia maschile creatrice della prima
frattura sociale gerarchica.
Possiamo permetterci di tornare indietro nel tempo con i nostri ricordi,con la mente, con i nostri pensieri; mai col tempo, il dejà vù non è altro che una allucinazione sensitivo-temporale che nasce nelle aree ancestrali del nostro cervello e per interconnessioni neuronali attraverso il lobo corticale temporale giunge alla corteccia frontale cognitiva.
Il tempo fugge e ci sfugge scorrendo sempre e solo in una direzione determinata, dal presente al futuro lasciando dietro il passato.
Quale legge fisica può dare ragione di questa elementare intuizione-sensazione, per quale legge della natura il tempo assume la direzione che pensiamo di misurare e che forse conoscendo di più sulla realtà dei buchi neri potremmo scoprire che ci stiamo ingannando.
Per il momento, qui ed ora per noi può valere come spiegazione razionale il secondo principio della termodinamica: il calore passa da un corpo caldo ad uno freddo e non viceversa.
Quest’unica legge è la sola che spiega la direzione del tempo in fisica; non ne hanno trovate di meglio Einstein con la relatività, Max Plank con la fisica quantistica; forse ci stava lavorando il recentemente scomparso scienziato affetto da SLA Stephen Hawkings.
L’enunciazione delle leggi della termodinamica sono opera del prussiano Rudolf Clausius nella seconda metà dell’800 ; citato da Carlo Rovelli, fisico teorico membro dell’Institut Universitaire de France, (et altro ancora) nel suo libro – L’ordine del Tempo – (ed. Adelphi).
L’Entropia, di scolastica memoria, misura questa irreversibile direzione del calore ed è una quantità che in un sistema isolato può essere misurata e risulterà essere sempre maggiore o uguale a zero, cioè cresce sempre o resta uguale.
Il bello di questo principio della termodinamica ( il primo e quello della conservazione dell’energia) è che l’ho ritrovato citato con mia compiacente sorpresa leggendo un articolo di Raffaele Sinno, docente di Bioetica, dell’Univ. degli Studi di Bari, dal titolo “Questioni etiche e bioetiche nella bioeconomia: tra mercato globale e glocale” pubblicato su – L’Ancora nell’Unità di Salute -, rivista bimestrale di cui mi è stato fatto dono.
In questo articolo l’autore descrive e analizza le cause che portano l’uomo e la società ad un consumo sfrenato e scorretto delle risorse naturali e quindi il verificarsi consequenziale dell’effetto serra. Infatti poiché vige il secondo principio della termodinamica, secondo il quale l’energia in un dato sistema può solo aumentare, sarà necessario utilizzare sempre più fonti aggiuntive per contrastare la inefficienza del sistema.
L’utilizzo invece di fonti energetiche alternative, rinnovabili, come l’energia solare, non priverebbe certo le future generazioni di un bene prezioso inesauribile perlomeno nel “tempo-spazio dell’uomo” come invece sta succedendo per le acque dolci, le foreste, gli idrocarburi.
La Termodinamica insegna e permea la Bioeconomia per un mercato glocale vincente sul globale. E’ sufficiente uno spirito critico di osservazione per apprendere le nozioni basilari che tengono su il mondo, non senza una adeguata intelligenza intuitiva; cosa quest’ultima che sembra venir meno ai grandi politici del nostro tempo che sono arrivati a gingillarsi prima con il nucleare ed adesso ci provano con il genoma umano… clonando se stessi.
Rischiamo ancora una volta di farci male.
Lasciamo a Dio quel che è di Dio.
La prima clonazione umana non l’ha forse fatta Dio stesso quando prendendo dal costato di Adamo una cellula staminale creò Eva,con tanto di manipolazione genetica sui geni eterosessuali X Y; X X.
Se non è questa la SCOPERTA dell’ACQUA CALDA…ditemi voi
. Ero in grecia con il mio compagno che a quel tempo non era nella resistenza contro i colonnelli. Quindi giravamo tranquilli in un paese in dittatura. Janis entrò in politica quando gli ammazzarono il fratello dopo averlo torturato a morte. Il regime era durissimo e lo scoprimmo a nostre spese quando vedemmo di essere controllati anche in italia da spie che si infiltravano nel nostro ambiente. Presero janis l anno dopo e così mi trovai a impegnarmi anch io come staffetta fra italia e grecia. L essere italiana alla frontiera mi facilitava ma non fu facile.
Ricordo sempre il giorno prima che i colonnelli prendessero il potere. Ero con janis nel giardino della mia casa siciliana. Gli aranci profumavano l aria e mangiavamo la caponata di mia madre. Fu l ultima volta che l ho mangiata. Non potrei piu. Da quel giorno e da quella ora per noi scese l inferno in terra. La serenita, dolcezza dei nostri incontri in un clima primaverile ed in un paesaggio che sa chi conosce la sicilia furino spazzati via da una tempesta di brutalità che non avremmo mai pensato esistere. Eravamo nati nella pace e nel benessere ed eravamo due ragazzi innamorati della vita. Cominciavamo a scoprire il sesso con molta delicatezza.
Penso da allora che ogni giorno sereno anche oggi puo essere l ultimo. Non potrò più essere ingenua inconsapevole innocente. La vita ci spiazza e ci spazza. Ianis morì come il fratello. Ritrovarono il corpo martoriato dalle torture in un canale mentre i corvi finivano il lavoro degli sgherri fascisti. Della sua famiglia rimase solo la povera madre che ogni estate andavo a trovare dalla sicilia. Ci guardavamo a lungo in silenzio mentre l immancabile cuccuma di caffè greco sbuffava sulla stufa ed il sole tramontava quasi a non risogere mai più.