Di Fernando Giannini
Il limite critico in illich
Di Massimo Chiucchiu’
Un altro approccio in cui il concetto di limite assume forte rilevanza,
con ricadute nel sociale di piu’ ampia portata rispetto a quello indagato nell’opera
di Nicola Chiaromonte, si riscontra nel pensiero del cristiano-anarchico Ivan illich.
Nella sua principale e conosciuta opera, La convivialita’, egli cerca di individuare
e dimostrare il limite critico oltre il quale non si ha piu’ equilibrio all’interno della
triade uomo-strumento-societa’; disequilibrio alla base della schiavitu’ umana nei
confronti della macchina, della societa’ tecnologica e del profitto.
L’uomo diviene accessorio rispetto ai meccanismi che ha messo in moto, un semplice
ingranaggio burocratico. Profetiche le parole di Illich:- “Se vogliamo poter
dire qualcosa sul mondo futuro,disegnare i contorni di una societa’ a venire che non
sia iper-industriale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di scale e limiti naturali.
Esistono delle soglie che non si possono superare. Infatti,superato il limite, lo
strumento da servitore diventa despota. Oltrepassata la soglia, la societa’ diventa
scuola, prigione, ospedale e comincia la Grande Reclusione.-”
Per evitare la grande reclusione, Illich individua la soglia da non superare nel
concetto di convivialita’.
Una societa’ sana e’ quella in cui gli strumenti siano utilizzabili dalle persone integrate
in collettivita’, e non gerarchicamente nella disponibilita’ di un gruppo di specialisti.
L’uomo a cui tende Illich non vive solo di beni e servizi, impostigli dall’alto come bisogni,
per lo piu’ fittizi, ma e’ un uomo che puo’ liberamente modellare e conformare al proprio
gusto gli oggetti che gli stanno attorno, di servirsene con gli altri e per gli altri.
Ed ancora:-“Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l’ambiente e per
la struttura di fondo degli strumenti che utilizza. Questi strumenti si possono ordinare
in una serie continua avente ad un estremo lo strumento dominante e all’estremo
opposto lo strumento conviviale: il passaggio dalla produttivita’ alla convivialita’ e’
il passaggio dalla ripetizione della carenza alla spontaneita’ del dono-”
Ad un valore di pura tecnica si sostituisce un valore etico. Con la convivialita’ si
attua l’equilibrio tra liberta’ individuale realizzata in una societa’ di strumenti efficaci.
Si procede cosi’ per il circolo virtuoso di un’ umanizzazione dell’economia di mercato che
favorisce la realizzazione dell’individuo senza creare scarsita’ ne’ bisogni imposti o fittizi.
Il terreno in cui viene coltivata la convivialita’ e’ quello dell’amicizia, della capacita’ di
confrontarsi con l’altro, in uno spazio lasciato aperto all’immediatezza, all’intimita’,
alla liberta’ dell’incontro. Per questo illich insiste sul carattere non conviviale di
istituzioni come le scuole, le carceri, gli ospedali, apparati statali volti a separare
con tecnicismi vari il “me” dal “te”.
Particolarmente efficace appare nel’autore l’analisi della secolarizzazione della societa’ occidentale, avvenuta in eta’ moderna, non in funzione di qualche perduta sacralita’, come avviene per esempio in Nietzche, ma come puntuale analisi sociologica di una compiuta trasformazione dall’uomo comune all’uomo bisognoso, intesi come categorie antropologiche.
Oggi la stragrande parte dell’umanita’ accetta senza condizioni la propria dipendenza da
beni e servizi, dipendenza chiamata bisogno, dipendenza soddisfatta da macroorganismi
che nessun rapporto hanno con l’umano, con la sua sfera emotiva.
illch osserva, nel libro Elogio della cospirazione, che le basi della moderna
civilta’ occidentale, piu’ precisamente l’idea di pace e comunita’, come essenza della
convivenza civile delle prime citta’ europee, é mediato dal cattolicissimo concetto
di Conspiratio, respiro condiviso, il bacio sulla bocca della solenne liturgia
ecclesiastica, in cui i partecipanti al culto condividevano il loro respiro nella comunione.
Con Conspiratio si pone in evidenza l’espressione somatica forte, chiara, non
equivoca, che designa il processo non gerarchico di creazione di uno spirito di
fraternita’ e condivisione.
Questo e’ il tratto autentico dello spirito europeo pretecnologico e prescientifico,
mai sorto nel mondo prima di allora.
La Conspiratio, per Illich, precede la Conjuratio, il giuramento solenne davanti a Dio,
alla base del contratto sociale delle libere citta’ medioevali.Se, come detto, il cattolicesimo e’ stato la mappa da cui ha preso abbrivio la modernita’,
e, con essa, l’organizzazione statuale, le scienze, , ed in ultima analisi
il dominio tecnorazionale, parte dei guasti sociali ed ecologici di cui
oggi diamo testimonianza, sono sottilmente evidenziati da illich, e fatti originare in una
sottesa involuzione del mandato evangelico:”Come fenomeno della storia della Chiesa,
come parte dell’Ecclesiologia corrotta – corruptio ottimi qui est pessima-”
(La cospirazione cristiana nella tirannia della scienza e della tecnica-Angeli ed 2016).
illich qui trova conforto nell’antico pensiero di Gregorio Magno, “non c’é niente di peggio
della corruzione del meglio”, fulmineo paradosso che spiega senza ambiguita’ la caduta
inconsapevole, per troppo “ardore”, della chiesa rispetto al regolare la carita’, garantire
la speranza e assicurare la salvezza. Il Regno di Dio sulla terra.
Qui il pensiero di illich aderisce completamente a quello di Chiaromonte:” L’idea di
accordare i due regni, l’uomo e il mondo, e’ l’errore degli errori…..(N. Chiaromonte-
Taccuini).
Dunque, per illich la Chiesa e’ responsabile della corruzione, ma non colpevole: non e’
la malafede a caratterizzare il suo mandato dal Medioevo ad oggi, ma una miope
inconsapevolezza delle conseguenze del suo operato.
La presa in carico comunitaria dei senza tetto, delle vedove, dei poveri
degli stranieri, e’ un idea che non appare in altre culture, come invece e’ stato fatto
dalla Chiesa Cattolica gia’ da molti secoli.
La Carita’, che Gesu’ dimostra nella parabola del buon Samaritano essere un atto
personale di libera scelta, viene istituzionalizzata in un mandato evangelico che ci
porta al concetto di servizio, e la nostra societa’ e’, oggi, essenzialmente una
societa’ di servizi. La stessa teologia si adatta al concetto di scopo.Da qui la
progressiva virtualizzazione dei rapporti umani mediati da organizzazioni sempre
piu’ lontane e coercitive. L’antica domanda fatta a Gesu’; “Chi e’ l’altro?
L’altro e’ chi vuoi tu,,” diventa per la Chiesa : “Cosa devo fare per l’altro?“, diventando manifesto della chiesa militante.
In questo, che pare essere una innocente conversione che “razionalizza” esigenze
ed istanze di popolazioni e rapporti sociali e statuali sempre piu’ complessi, in questo,
dicevamo, si annida il primo germe di una delega che gli uomini hanno concesso
alle istituzioni ed alle organizzazioni, che hanno sempre piu’ voracemente occupato
spazi che dapprima erano prerogativa del fecondo rapporto di amicizia e fratellanza
dei consimili. Le strutture cosi’ formatesi hanno cominciato a vivere di vita propria,
ognuna con le proprie esigenze di sopravvivenza e di rappresentanza, lasciando
in un angolo i motivi per cui erano state create. Le parti sono ribaltate, l’uomo
chiede perche’ ha bisogno, non e’ piu’ pernio della sua vita.
Se pensate che il pensiero di illich sia pura utopia, giungera’ il tempo in cui le sue
parole assumeranno ben altro spessore rispetto alle certezze dell’attuale
razionalismo storicistico; mi auguro solo che non sia troppo tardi.
La principessa dall’orchidea nera.
Di Fausto Carloni
….dormo a Larache in un
campament per turisti. Mi fermo spesso qui. Gratuito, ci
sono bagni puliti (rarità in Marocco) e un ristorante self
non troppo caro. In mattinata parto ed è il primo pomeriggio
quando passo sia Rabat che Casablanca. Di solito evito i
grossi centri vuoi per il traffico, vuoi per quel pò di
insicurezza che la massa ti da. Non in tutte le parti ma la
violenza è frutto a volte anche di una compressione altrui.
Scelgo la strada della costa quella di El-jadida, bella
cittadina di stile portoghese. Dormo in qualche parcheggio e
la mattina, dopo una buona colazione, parto alla volta di
Essaouira. Sono innamorato di questa città e non sono certo
il solo. Prima o poi mi ci fermerò un pò di tempo, almeno
qualche mese a scrivere e pensare. Vedremo….i buoni
propositi non mancano ed ogni volta che passo qui si
rafforzano (certo come dice un’altro maestro ci va il
tempo che ci va…tutto il tempo che
ci va..). Mi fermo 2 giorni. Vado all’ammam (specie di
bagno turco ). Sono un grande estimatore di questo
piacevolissimo luogo. Quando esci ti senti stanco, di quella
stanchezza rigeneratrice che ti fa sentire pulito e fresco.
Ho tempo, quanto non lo so poiche non ho impegni ma affetti,
per una madre anziana, parenti e amici a cui sono molto
legato. Il non lo so dipende come sempre da voglie, momenti
e situazioni. Non ho ancora deciso sulla principessa e non
dipende solo da me, spero solo che l’orchidea non
appassisca….e poi ritrovarla con le poche indicazioni che
ho…vedremo. Da molto non ho piu aspettative, questo vuol
dire che non avrò delusioni. Naturalmente è la parte
razionale che pensa cosi ma poi c’è tutto il
resto…… con tutte le aspettative del mondo. Qui apro una
lunga parentesi. Un viaggio del genere non si fa per una
donna o meglio per gli africani, è impensabile una cosa del
genere. Anche da noi i nostri nonni partivano per
migliorare le loro condizioni e il dettaglio di un
rapporto era solo la spinta in più. Cosi è per i tanti
africani che vengono qui (esistono sempre eccezioni in ogni
situazione). Questo vale sia per donne che per uomini. Siamo
strumenti dell’inevitabile uso e consumo per raggiungere
scopi. Che poi essere usati ci piaccia, ci fa comodo, ci
consapevolezzi ecc. è un’altra cosa. Nella razionalità
del dopo istinto, del dopo infautamento si valuta la
convenienza. Cosi ci si adegua ai rapporti di comodo. Col
tempo stima, fiducia e complicità si rafforzano, se cosi non
è beh…diventa quasi inevitabile la scissione. Facile
parlare o scrivere in generale poi ti trovi davanti a scelte
e li arrivano tutte le problematiche di un vissuto, di una
formazione, di un condizionamento sociale e culturale.
….tutto questo marasma di pensieri mi assale mentre da
Essaouira vado ad Agadir. Sono meno di 200 km ma la strada
è stretta e gran parte curvosa. Ai lati
km di piante di argan. Prima di arrivare ad Agadir si
intravedono zone piene di camper. Il clima qui è
ottimo tutto l’anno. Posto ideale per svernare. Mi fermo
una notte in città e parcheggio a fianco di un casinò. La
città non è molto grande ma vuoi per il clima, vuoi per la
tranquillità, è la meta piu gettonata dalle agenzie
turistiche. Qui vieni a riposarti e divertirti. La nostra
Rimini meno confusionaria. La scelta del parcheggio non è
un caso. Esco con un centinauio di euro in piu. Mi
basteranno per arrivare fino alla Mauritania( da qui ci sono
circa 1800 km) . Quando viaggi solo hai il fascino del
filosofo. Mentre lo fai, oltre le irrisorie problematiche
personali, sviluppi un modo di pensare profondista. Poi la
variante è caratteriale. Se sei ottimista fa futuristica e
la progettistica è rosea, se no……le difficoltà di un
bicchiere mezzo vuoto. Di solito il viaggiare rende realisti
facendoti acquisire la giusta misura che
pur personale è. Sono partito da Perugia dopo un incidente
stradale. Mi era venuto addosso uno scuterone che non aveva
fatto lo stop e mi aveva acciaccato la parte anteriore
destra. L’assicurazione mi aveva pagato e avevo deciso
di ripararlo qui in marocco poichè piu economico. Entro a
Dakhla e vado da Amed, carrozziere tuttofare conosciuto nei
precedenti viaggi. Ci accordiamo poi vado in dogana dove mi
rilasciano i documenti necessari ( non potrei uscire dal
paese senza il mezzo che è stato registrato in entrata) ed
ora vado a cercare un passaggio che mi porti in Mauritania.
Dakhla è l’ultima città marocchina e qui partono i
convogli scortati dai militari fino alla frontiera. Ai tempi
della guerriglia tra Marocco e fronte del Polisario (braccio
armato dei Sarawi) avevano minato la pista che portava al
confine, cosi dopo la fine del conflitto avevano provato a
disinnescare la strada, ma i rari mezzi che passavano a volte
subivano spiacevoli inconvenienti.
Ogni tanto qualche d’uno saltava. Poi con
l’apertura della frontiera avevano fatto i convogli con
scorta militare che partiva 1 volta la settimana (poi due
con l’aumentare del traffico) da Dakla. Per lo piu
pegiottari (sono coloro che vanno a vendere mezzi in africa
nera, ultimamente sono pochi. Non c’è piu guadagno,
ma tra metà anni settanta e fine anni ottanta vi era un
traffico notevole. Allora si passava per l’Algeria ed
era l’unica pista percorribile per arrivare in africa
nera via terra, ma anche rari turisti e avventurieri.
Avventuriero, strano termine da definire. Credo che rientri
in molte categorie: turisti, curiosi pellegrini, viaggiatori
ecc. però come parola è disprezzativa cosi almeno a me
sembra che sia catalogata. Invece credo che sia il
contrario…..non so. Si parte insieme all’uscita della
città dopo lungaggini burocratiche che durano ore e ore.
Una jeep militare ci accompagna per oltre i 350 km di
strada. Di solito ci si
impiega 2 giorni per arrivare e la notte si fa campo a metà strada circa.
Sono in un camion camper con tre ragazzi
tedeschi che vogliono andare in Camerun. Sono qui per la
prima volta. Silenziosi, gentili e discreti come lo sono la
maggior parte dei giovani tedeschi che incontri sulle strade
del mondo. Devo dire che sono quasi sempre disponibili a
darti una mano in caso di difficoltà. La notte, quando si
fa campo, si socializza e si ascoltano le tante storie
che il Sahara crea. Non ci sono italiani nel convoglio ma
due marocchini che vanno a consegnare la macchina in
Mauritania (noadhibou prima città che si incontra dove il
mio collega e predecessore ….bella
questa…. sant-exupery aveva casa) parlano italiano.
Viaggiano su una mercedes nuova e qui i traffici di macchine
sono tanti. Partono da Casablanca dove arrivano
dall’europa (alcune rubate, altre prese con i leasing e
poi denunciate per furto, altre taroccate e cosi via..) e
poi spedite con uno o due autisti in Mauritania dove i
controlli sono molto blandi e addomesticabili. Quando
arriviamo a Noadhibou è notte e dormiamo in un campeggio.
Il giorno dopo ci salutiamo con i ragazzi tedeschi con cui
sono venuto. Di solito si pagano i passaggi in quasi tutta
l’Africa ma loro non vogliono nulla. La prima volta che
sono capitato qui ero con il mio autobus e un gruppo di
persone. Volevamo girare un film sul rientro delle ceneri di
un africano che, morto e cremato in Europa, dovevano essere
sparse nella sua terra. Giovanni Makoschi aveva scritto la
sceneggiatura e tra i vari intenti di quel viaggio ( mostra
pittorica di Carmen e Tia giovani diplomate all’istituto
d’arte di Perugia, spettacoli teatrali di un gruppo di
Bologna, musica e canto di una coppia di
marchigiani-puglesi) avevamo quello di consegnare una
lettera e un pacco ad uno dei fratelli di Kadijia, una donna
sarawi che viveva in esilio a Livorno come rifugiata politica. Non
avevo messo tutti al corrente di questa consegna poiche era
una situazione particolare e non volevo coinvolgere altri in
questa piccola missione. Vi erano duri controlli delle
autorità marocchine su tutto quello che riguardava i
sarawi. Vi erano ancora strascici bellici e come spesso
avviene con le varie fazioni in conflitto di potere. Faceva
l’infermiere all’ospedale spagnolo. Con Carmelo (era
venuto a Livorno con me) andiamo a cercarlo. Ci invita a
casa sua dove ci fermiamo a mangiare e parlare. Ci racconta
la storia del popolo sarawi e ci fa conoscere quello che era
definito il capo delle armi del fronte del Polisario. Ogni
volta che passavo li’ ero ospite di qualche d’uno. Anche
quella volta dopo la notte al campeggio vado da lui. Saluti,
the, cuscus e tutto il repertorio dell’ospitalità. La
sera dopo sono invitato ad un matrimonio sarawi. Canti,
festa con orchestra venuta dalla capitale. I mauri sono la
razza dominante del paese. coloro che
decidono. Uno dei regali alla giovane sposa era una
ragazzina di circa 12 anni di pelle nera che avrebbe vissuto
la vita aiutando la sposa in tutto. Questa forma di
schiavitù (secondo loro) permetteva di far uscire quella
ragazza dalle forti difficoltà di sopravvivenza. Non so
giudicare. Usanze e condizioni di un paese sono difficilmente
capibili da formazioni culturali diverse.
Dopo tre giorni parto. Arrivo a Novaschot dopo due giorni pieni.
Sono circa 400 km di pista vera dove se il gruppo è
compatto si superano le difficoltà (insabbiamenti ed altro)
con allegra fatica. Qui il gruppo si scioglie. Prendo una
piccola stanza in hotel e conto di riposarmi qualche giorno
e poi andare in Senegal. La sera esco per mangiare un
boccone poi andare in un locale a curiosare
e………………la vedo come un miraggio che si
concretizza. è senza l’orchidea in mano e mi saluta
come se avessimo un appuntamento. La casualità, il
fatalismo sono proprie di questa
terra che sembra non stupire i suoi abitanti. Mi racconta
che vive li da due mesi dove era arrivata con un francese
che gli aveva promesso di portarla in Francia. Poi lui era
dovuto rientrare e non poteva o voleva portarla con se. Il
destino di molti, che illusi da aspettative che, senza
tenacia, convinzione e fortuna si perdono nei meandri della
difficoltà oggettive ( documenti soldi volonta altrui ecc).
Mi presenta a tutti come il suo uomo. Passo all’hotel
dove prendo lo zaino e mi trasferisco a casa sua. Vive in
una casa all’africana all’interno di un cortile dove
ci sono varie stanze fatte di paglia e fango e affittate a
non troppo. Stiamo li cinque giorni. Ci conosciamo meglio.
Bella, intelligente, in gamba, dignitosa, fiera e tantissime
qualità. Ma non scatta quella molla che supera la paura
della responsabilità. é l’alba quando ci lasciamo con
l’affetto profondo di persone che si stimano molto. Lo
so che sarebbe la persona giusta per
vivere una vita con fiducia ma in questo caso la paura è
piu forte. Finisce qui la storia della principessa
dall’orchidea nera. Una storia di…se…se…se che a
volte torna in mente come molti altri ricordi…
L’estetica del semplice
Commento di Massimo 21-11-2019
Riprendo questo vecchio articolo perche’ sento il desiderio di approfondirlo,visto che
nasconde,anzi per dir meglio abbozza, uno degli aspetti che piu’ hanno influenzato le
mie ricerche intellettuali, e che a buon diritto costituisce il problema per eccellenza
con cui ci confrontiamo agli estremi confini del pensiero umano:il Nulla.
Quando si parla di vuoto l’accostamento sorge immediato e l’autore dell’articolo ne parla
compiutamente alla fine del pezzo, in riferimento ad arte ed architettura, abbozzando
anche l’importanza delle pause in ogni forma di comunicazione.Per l’approfondimento mi avvalgo di uno stimolante allegato scovato nella rete a firma di Gianfranco Bertagni, un gigante erudito,
in fondo non molto conosciuto,ma che merita di esser letto con attenzione.Tralascio dell’articolo la parte dedicata all’impatto del Nulla in filosofia, che ha dato luogo a fiumi di pensieri di eccelsi filosofi antichi e moderni, sfociati nel moloch in cui ci confrontiamo ancora oggi: il Nichilismo.
La parola a Gianfranco Bertagni:
Il silenzio dell’arte
L’arte è un mezzo per esprimere ciò che si sente: poichè in condizioni dapprima eccezionali,
e poi sempre più comuni, il sentire di alcune `civiltà’ è l’alienazione, il nulla ha acquistato
un ruolo consistente nelle loro rappresentazioni artistiche.
Parole
La prima apparizione letteraria del nulla è forse nel libro ix dell’Odissea : dopo essere rimasto
intrappolato nella grotta di Polifemo con i suoi compagni, Ulisse (Odisseus: OdnsseuV) dice astutamente al ciclope di chiamarsi Nessuno (Oudeis: OudeiV),1 e lo acceca; quando gli altri ciclopi accorrono alle urla di Polifemo e gli domandano se abbia bisogno di aiuto, egli risponde che Nessuno gli sta facendo del male; l’equivoco impedisce loro di aiutarlo, e permette invece ad Ulisse di attendere l’occasione propizia per fuggire.
In seguito il nulla divenne una costante di riferimento della letteratura tragica: dai classici greci che lo subirono nell’amaro destino, ai romantici ottocenteschi che lo corteggiarono con nostalgica malinconia.
In casa nostra un campione di questo atteggiamento fu Giacomo Leopardi, nel cui canto Ad Angelo Mai il nulla affiora come immagine universale: della condizione umana (a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla'', 74-75), della conoscenza (
discoprendo, solo il nulla s’accresce”, 99-100), e della realtà stessa
(ombra reale e salda ti parve il nulla'', 130-132). E sul tema egli ritornò frequentemente, da La ginestra (
questo globo ove l’uomo è nulla”, 172-173) allo Zibaldone (il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla'';
tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione”; “è un nulla anche questo mio dolore”).
Nella direzione opposta alla tragicità, i nonsense di Lewis Carroll mostrano invece come il nulla possa avere effetti comici devastanti. In Alice nel paese delle meraviglie ad Alice viene offerto del vino inesistente; il gatto del Cheshire svanisce lentamente, fino a che non ne rimane nulla se non il ghigno; e la regina pretende che si decapiti la testa del gatto, benchè essa non abbia un corpo. In Attraverso lo specchio dapprima il Re Bianco si stupisce che Alice abbia la vista così buona da riuscire a vedere che nessuno è in arrivo; e quando il messaggero arriva senza aver superato nessuno, il re conferma che questi è stato visto anche da Alice, e deduce che
nessuno cammina più lento del messaggero, altrimenti sarebbe arrivato prima di lui.
Passando dal nulla stesso alle sue metafore, la più nota è certo il nichilismo : un termine inizialmente introdotto nel 1862 da Turgenev in Padri e figli , per indicare il rifiuto radicale dei valori stabiliti che caratterizza il conflitto generazionale. Detto dai padri, biologici o spirituali, siete tutti nichilisti'' significa dunque:
non rispettate nulla” (beninteso, di ciò che noi rispettiamo''). Raccontato dai letterati, il nichilismo raggiunse il suo apice nell'ottocento nei romanzi di Dostoievski, in particolare negli atteggiamenti di personaggi quali Raskolnikov in Delitto e castigo , Stavrogin nei Demoni , e Ivan nei Fratelli Karamazov . Nel novecento il nichilismo letterario subì poi varie metamorfosi, dalla
generazione perduta” di Gertrude Stein alla “gioventù bruciata” di James Dean, per culminare infine nella letteratura esistenzialista francese dell’ultimo dopoguerra, da La nausea di Jean Paul Sartre a Lo straniero di Albert Camus.
Un altra metafora quasi scontata del nulla è il tema dell’ assenza : e le opere che parlano di qualcuno che non c’è o non arriva abbondano, dai Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello all’Aspettando Godot di Samuel Beckett.
Altrettanto immediata è la metafora dell’ombra : dalla Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso,del 1812, a Peter Pan e Wendy di James Matthew Barrie, del 1911, sino al film Luna e l’altra di Maurizio Nichetti, del 1997,
si narrano le avventure di ombre che si staccano dai rispettivi corpi e acquistano vita propria.
Una terza ovvia metafora del nulla è il buco . Nell’era elisabettiana con `nulla’ si intendeva più precisamente quel buco primordiale e prototipale che è la vagina: il che permise allora a William Shakespeare di descrivere le tresche amorose come Tanto rumore per nulla , e permette a noi ora di annettere ai discorsi sul nulla buona parte della letteratura mondiale
. Rimanendo però più sul letterale, come opere sui buchi si possono citare: Il tunnel di Dürrenmatt, del 1952; Yellow submarine di George Dunning, del 1968, che è il viaggio dei Beatles nel mare dei buchi; e Chi ha incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis, del 1982 (in entrambi i film al momento opportuno dei buchi vengono estratti da una tasca provvidenziale, e applicati al muro per permettere la fuga in situazioni disperate).
Se però assenze, ombre e buchi sono metafore letterarie del nulla, solo il silenzio ne è la realizzazione letterale.
Il silenzio della mente è stato elogiato da Socrate (tutto ciò che so è che non si può sapere nulla'') e da Chuang Tzu (
il vero sapere è sapere che ci sono cose che non si possono sapere”). Al silenzio della bocca hanno invece incitato memorabilmente Lao Tze con il chi sa non parla, chi parla non sa'' (Tao Tze Ching , lxxxi), e Wittgenstein con il
su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Tractatus , 7). Quest’ultimo era però
già stato anticipato e superato nel 1786 da Lorenzo da Ponte, librettista delle Nozze di Figaro : di fronte all’accusa di essersi ispirato ad un’opera di Beaumarchais bandita dalla corte, egli si era infatti giustificato sostenendo che“su ciò di cui non si può parlare, si può cantare”, suggerendo che le limitazioni del linguaggio possono essere superate da una sua estensione quale il canto, che non è solo linguaggio (essendo anche musica).
Una realizzazione pratica del silenzio può essere l’opera letteraria non stampata, non terminata o addirittura non scritta, di cui esistono svariati esempi: i grandi profeti, da Socrate a Cristo, hanno solo parlato; il famoso secondo libro della Poetica di Aristotele forse non è mai stato scritto; libri certamente mai scritti sono stati recensiti da Jorge Luis Borges
in Finzioni , e da Stanislav Lem in Vuoto perfetto ; Marcel Bénabou ha analizzato la sua inesistente produzione inPerchè non ho scritto nessuno dei miei libri , di cui viene detto e ripetuto che non è un libro; Suburbia , di Paul Fournel, è un’opera completa di prefazione, introduzione, note, postfazione, indice ed errata corrige,ma non di testo; gli ultimi due capitoli, il xviii e il xix, del Tristam Shandy di Laurence Sterne consistono di fogli bianchi, così come il Saggio sul silenzio di Elbert Hubbard, la monografia Serpenti delle Hawaii dello Zoo di Honolulu,
e il The n \bigcircthing book che viene venduto negli Stati Uniti.
Suoni
Se nella musica, secondo Da Ponte, il canto può essere considerato una forma paradossale e metaforica di silenzio, la pausa ne è una versione letterale, e svolge nella notazione musicale un ruolo analogo a quello dello spazio fra parole nella scrittura moderna (nella scrittura antica, così come nel parlato, le parole non sono staccate fra loro),
o dello zero nella notazione numerica. A differenza di questa, però, in cui le ripetizioni di 0 sono indicate per esteso, in musica ci sono otto tipi di pause (breve, semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma),
ciascuna di durata doppia della seguente: esse possono essere seguite da un punto (che ne moltiplica il valore per 1,5), o sovrastate da una corona (che ne prolunga il valore arbitrariamente), ma non collegate da una legatura.
La composizione musicale che ha più sfruttato il silenzio è 4’33” di John Cage, che si articola in tre movimenti:30” , 2’23” e 1’40” . La durata totale è di 273”, che sono un esplicito richiamo ai -273° di quell’altra forma di nulla che è lo zero assoluto, a cui ritorneremo più oltre. La poetica di Cage era comunque non tanto quella di suonare il non suono, quanto di mostrare che il silenzio assoluto non esiste, o almeno non è purtroppo di questa terra
(come il regno dei cieli): una qualunque esecuzione del silenzio si scontra infatti contro gli inevitabili rumori di fondo dell’ambiente e del pubblico, ed è dunque una pratica dimostrazione della propria teorica irrealizzabilità.
Il passo successivo al silenzio puro è la composizione con un solo suono: essa è stata realizzata nella Sinfonia monotona di Yves Klein, del 1947, che consiste di un lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio. L’idea in questo caso è che un suono prolungato o ripetuto finisce per essere rimosso dall’apparato uditivo, e diventa dunque a tutti gli effetti
un analogo del silenzio; viceversa, la mancanza di un suono o di un rumore a cui ci si è abituati viene invece percepita effettivamente, come se fosse un suono.
Anche il rumor bianco , che si ottiene per somma di tutti i possibili suoni, è una forma di silenzio. Matematicamente, la possibilità di ottenere il silenzio dalla composizione di suoni è una versione del fatto che la funzione costante di valore 0 si può scrivere in serie di Fourier, come somma di funzioni sinusoidali di varia ampiezza e periodo.
Immagini
Come il silenzio è l’assenza di suono, così il color nero è l’assenza di colore, e il buio è l’assenza di luce. All’estremo opposto, analoghi del rumor bianco che contiene tutti i suoni sono invece il color bianco e la luce , che contengono tutti i colori (come mostra l’esperimento del prisma che decompone la luce bianca nello spettro delle varie lunghezze d’onda corrispondenti ai vari colori).
Il ruolo della pausa nella musica è preso nella pittura da porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si disegna o si dipinge, e analoghi del silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi o tagli che rappresentano il vuoto. Alle composizioni ad un solo suono corrispondono invece le tele monocrome bianche, nere o blu di artisti quali Robert Rauschenberg, Ad Reinhardt e Yves Klein.
Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica (e, più in generale, iconica 2) è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa, non per questo esse cessano di essere segni, e dunque niente di ciò che è rappresentato. Il concetto è stato espresso in maniera memorabile da Magritte con Il tradimento delle immagini : un disegno di una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe ,ad indicare da un lato che la scritta non è la raffigurazione, e dall’altro che la raffigurazione non è l’oggetto raffigurato. E proprio sull’ambiguità tra i vari livelli si giocano i giochi delle rappresentazioni apertamente
paradossali del surrealismo, così come delle rappresentazioni apparentemente consistenti dei paradossi percettivi alla Escher.
Dopo questo vertiginoso sfoggio di erudizione,lascio spazio alla pagina bianca che vi dara’ modo magari di approfondire qualcuno degli Autori citati enciclopedicamente da Bertagni, dopo che vi sarete presi una giusta…”pausa”.
IL Personale è politico
Di Roberto Monchieri
L’uomo nel Reale. Il falso mito dell’ illimitatezza umana.
Di Massimo Chiucchiu’
“L’uomo é l’essere confinario che non ha confini.”
Il paradosso di Georg Simmel fotografa molto bene la realtà
psico-fisica dell’uomo di oggi. Se da una parte apparteniamo
ad una specie che si muove con meccanismi biologici simili
a quelli di tante altre specie, con cui condividiamo lo stesso
ambiente, per altro verso siamo completamente diversi dagli
animali, anche quelli più vicino a noi, come le scimmie antro-
pomorfe che si situano completamente entro gli spazi naturali
che si sono conquistati con la lotta per la sopravvivenza.
Una delle caratteristiche, se non la più importante della nostra
eccentricità, consiste, oltre che ad avere una coscienza, cosa
peraltro comune in altre specie, in quella particolare
capacita’ di mettersi nei panni degli altri, di condividerne le
emozioni per meglio capirne le intenzioni. Si chiama
empatia e rappresenta un marchio di fabbrica della specie uomo.
Ne abbiamo fatto oggetto di studio in molti incontri del Gruppo
di lettura dell’anno scorso, studiando il metodo Rogers in
psicologia e diversificandola da concetti simili come simpatia e
compassione.
Se negli animali superiori i rapporti interspecie si stabiliscono con
variegate ritualizzazioni, come le danze di corteggiamento sessuale,
oppure abbassando lo sguardo o mostrando l’addome al culmine della
lotta, nell’uomo la questione si fa più complessa.
Le relazioni umane non soggiacciono ad alcun rituale istintivo codificato,
l’interazione approda nel circolo culturale umano arricchendosi di
connotati nuovi e sconosciuti in natura.
La capacità empatica, unita alla nascita di un linguaggio dotato di
semantica, ha fatto si’ che la specie homo sapiens si sia trovata nella
condizione di scrivere le pagine del proprio destino al di là dei rigidi
protocolli biologici.
Ma e’ proprio cosi’?
Intanto appare piu’ chiaro il paradosso di Simmel: diversi da tutti gli altri
Esseri che popolano la terra, con cui abbiamo rapporti incidentali, come
un inquilino che viva in un pied-a-terre, con ingresso autonomo, ci
muoviamo liberamente dentro e fuori l’appartamento misurando i passi
che ci separano da qualsiasi destinazione. Gia’ sogniamo di andare via
da quel palazzo in cui conviviamo con altri che neanche conosciamo.
Eppure e’ chiaro che viviamo nel migliore dei mondi improbabili,
circondati come siamo da un’ entropia negativa indirizzata alla morte
termica. Ci confrontiamo con stelle lontane con temperature inimmagi-
nabili rispetto al nostro quotidiano o con attrazioni gravitazionali che
fermano il corso della luce e del tempo.
I limiti dell’umano, ora che la scienza ci ha spalancato le finestre delle
galassie, sono incontestabili. Viviamo in una nicchia esotica dell’ Universo,
alla mercè del “caso e della necessità”, come ebbe a dire il premio nobel
Jaques Monod.
Se biologicamente il limite appare essere un fatto, cosi’ non pare per la
nostra natura “culturale”.
Se l’eccentricità, quel mettersi nei panni dell’altro, quell’estraniarsi da sè
stesso, che crea i presupposti per (ri)trovare i propri limiti, o per meglio
dire la propria misura, tanto cara alla filosofia greca, se dunque, l’empatia
si è tradotta per lunghi millenni in vantaggio nella lotta per sopravvivere,
permettendo l’interazione umana, la nascita dei gruppi sociali, la nascita
del linguaggio semantico e, in definitiva, la genesi della cultura, tutto questo
ha, metaforicamente, nascosto la faccia oscura della medaglia.
Non essendo piu’ ancorato ad alcun supporto naturale,oggi il linguaggio si è
fatto carne (All’inizio fu il verbo….recita un celebre salmo), i concetti sono
diventati fatti, il denotativo trasla in connotativo, l’analogico in digitale.
La parola acquisisce esistenza propria, acquisendo la capacita’ di
albergare nei nostri cuori e nelle nostre menti, il medium diventa
messaggio, diventando infine il nostro piu’ fedele alleato, piu’ amico
dei nostri stessi consanguinei.
Possiamo cosi’ tranquillamente parlare di concetti che nessuno, dico nessuno,
ha mai provato nè visto, come il nulla, la morte, l’infinito. A niente sono valsi gli
ammonimenti dei presocratici. Apeiron in Anassimandro era il nulla da cui tutto
nasceva e a cui tutto tornava, ma non era oggetto dell’ossessione totale di
controllo, tipico della cultura moderna. La ricerca di senso, tipica del linguaggio,
tracima fino a cercare verità sempre provvisorie inerenti oggetti non reali.
Il linguaggio si parla addosso.
Il limite è solo un ostacolo da superare per tendere continuamente verso una
linea di orizzonte che appare piena di aspettative; il tempo non è circolare, ma
una freccia lanciata verso un futuro radioso od ostile.
Nel secolo breve, Nietsche, con febbrili parole, proclama la morte di dio.
Cio’ non fa che peggiorare le cose. Non trovando piu’ alcun ostacolo nei divieti
e precetti ecclesiastici, la fede trasla dalla Chiesa alla Scienza e tecnologia,
anche qui trovando un gigante d’argilla e gli stessi tristi epigoni. Come non ricordare
padri della scienza come Newton, Darwin che appartenevano alle gerarchie religiose.
In fondo il disegno divino, il teleologismo e’ duro a morire se anche Einstein si lancia
nella famosa invettiva: ” Dio non gioca a dadi con l’Universo!”
Ma, ahinoi, nessuna legge della natura e’ scritta nel linguaggio matematico, esistono
solo interpretazioni e manipolazioni da parte del soggetto che ha preso il posto di
dio:l’osservatore.
Ma noi non siamo qui per osservare, noi siamo qui per vivere, a dio e agli uomini
piacendo. E soprattutto vivere in mezzo agli altri, secondo le proprie attitudini.
Ma l’uomo e’ smarrito, non sa trovare in sè la casa perduta. Avido di infinito, di
teorie del tutto, non accetta l’ombra, il mistero laico che in passato ha reso rotonda
la sua vita. L’uomo ha perso dio, ma ancora ha gambe gracili per camminare o anche
solo per stare in piedi.
Il sentimento che ci pervade in questo mondo popolato di simboli non e’ più quello della
paura ma dell’angoscia, che è la conoscenza della nostra paura.-Questa, ed altre
emozioni fondamentali, non possiedono alcun meccanismo d’arresto
biologicamente evoluto – (J. Jaynes…Il crollo della mente bicamerale…)
Che fare?
Spezzare le” ragioni” che ci portano alla paura e all’angoscia e lasciare fluire liberamente
la vita che ci e’ data e che e’ puro fatto, non interpretabile e che si svolge in un eterno
presente. A volte mi abbevero alle parole di un grande assente della cultura italiana e che
dovrebbe essere un po’ più conosciuto:
– L’uomo si trova di fronte al reale come di fronte a
una combinazione di casi avuti per sorte. Questa discontinuita’ prima e radicale nulla puo’
obliterarla. L’idea di accordare i due regni, l’uomo e il mondo, è l’errore degli errori.
Di qui l’inutilita’ di pensare i fatti singoli, non si possono pensare i fatti, ma solo le strutture,le costanti, i tipi, le concatenazioni. Si possono solo sentirli i fatti. patirli………..
(Nicola Chiaromonte- ( Cosa rimane-Taccuini, pag. 66-67)
ed ancora:
–L’equanimita’, la serenita’, la capacita’ di vedere impassibilmente le vicissitudini umane
come degli “oggetti” naturali situati in uno spazio a tre dimensioni…….tale equanimita’
e serenita’ vengono innanzitutto dalla semplicissima constatazione greca: l’uomo
è mortale. L’estremita’ della condizione dell’uomo sta in questo, e la sua dignita’ anche,
nè può stare altrove………..Questa estremita’ fonda il sentimento dell’uguaglianza degli
uomini,degli esseri umani, quale nessun Rousseau ha mai concepito cosi’ profonda……
Giacchè nella mortalita’ e’ insito il fatto del limite……(ibidem, pag.32-33).
Anche il mondo umano delle idee appare in Chiaromonte chiuso fin
dalla sua origine, non potendosi incontrare l’uomo con il mondo, se non attraverso
“le strutture, le costanti, i tipi”. Ma l’ uomo persegue “l’errore degli errori”,
cercando sempre un impossibile mediazione dove niente e’ in rapporto,
mancando sempre l’incontro con la realta’, che appare essere sempre un passo
piu’ in la’, sempre sfocata. Piu’ che illimitato l’uomo appare carente, addomesticato
ad una vita artificiosa, sempre lontano dal flusso vitale. La “spontaneità” perduta
e’ stata rimpiazzata dalla razionalita’ e dalla logica, i confini umani sono plastici per
difetto, non certo per forza acquisita dalla sua storia. L’uomo appare
indebolito.
La vita come puro fatto, non interpretabile e non accordabile con un mondo che
appare indifferente, e’ in perfetta sintonia con i personaggi camusiani come il
Mersault dello Straniero. Chiaromonte si trova nel bivio tra Esistenzialismo e
Platonismo, cosi’ oscura e misteriosa appare la vita individuale, cosi’ perfetta e
significativa la via platonica;” Cosi’ l’utopia platonica:essa e’ una dottrina
da non mettere in pratica, consiste in se stessa, e’ fatta per rimanere dove è….
Ma stando li’ affascina,ammaestra, e’ una continua tentazione non di passare
agli atti, ma di giudicare il reale secondo quel modello…..
Quel che e’ greco e’ considerare qualsiasi forma ideale come infinitamente
distante da ogni possibile realta’…..(ibidem pag.52)
Tentazione che nel Cristianesimo diventera’ fortissima con la fondazione
della chiesa militante e governante. Con tutte le conseguenze storiche che
hanno pesato nello sviluppo delle società.
Kurdistan: guerriglia come e perche’.
Di Donatella Perfetti
Spesso ci si domanda cosa spinge una persona giovane o adulta, uomo o donna,
ad unirsi alla guerriglia. Per un Curdo la risposta è quasi ovvia e anche se non
condivisa da tutti, è comunque compresa.
Noi invece dobbiamo innanzi tutto cercare di capire a fondo la situazione di questo
popolo e immedesimarci nella loro realtà. In Turchia ad esempio, ma anche negli
altri stati in cui il Kurdistan è diviso (Iran, Siria, Irak –dove dalla caduta di Saddam
Hussein c’è la regione autonoma del Kurdistan) i Curdi teoricamente hanno gli
stessi diritti e doveri degli altri cittadini, ma non è così. La loro lingua è proibita,
ammessa solo a livello familiare (per grande concessione da quando la Turchia
vuole entrare in Europa) cioè in pratica considerata come un dialetto che nessuno,
in nessuna parte del mondo si sognerebbe di proibire. Fino a qualche anno fa non era
raro essere arrestati se si parlava curdo in pubblico o ascoltare musica curda. Nel
2003 studenti universitari hanno manifestato per chiedere di poter studiare il
curdo “come lingua straniera”: son stati arrestati e poi, non potendo essere
trattenuti a lungo, sono stati sospesi per due anni, con le gravi conseguenze che si
possono immaginare.
Poche persone sanno che i comuni ricevono dallo stato un budget basato su vari
parametri tra cui il numero degli abitanti. Quasi tutte le città curde hanno
raddoppiato o triplicato il numero degli abitanti in questi ultimi vent’anni per
l’afflusso massiccio di profughi interni provenienti, per esempio, da villaggi
bombardati, ma questi non vengono considerati cittadini residenti e quindi le città
curde ricevono meno fondi rispetto alle altre e spesso i comuni non hanno soldi
nemmeno per le necessità più urgenti ed il degrado è evidente a chiunque .
In queste città, prendiamo ad esempio Shirnak, che ha un distretto molto vasto,
c’è un medico ogni 10.000 abitanti, e spesso non è nemmeno reperibile, perche’
costretto a girare da un posto all’altro, con lunghi percorsi in strade di montagna
non sempre agevoli. Proprio a Shirnak una associazione Italiana ha allestito un
ambulatorio che ora è chiuso perché manca il medico e spesso anche l’infermiere.
Ad Hakkari l’ospedale è stato chiuso per anni.. la struttura più vicina è a Wan, che
dista circa 200 km e 5 ore di viaggio!!!!
C’è grande discriminazione sociale ed economica per cui difficilmente un curdo
può raggiungere alti livelli sociali e culturali, specialmente se si occupa di politica.
L’attuale partito filo-curdo, il BDP (Partito per la pace e la democrazia) ha
cambiato sigla numerose volte (DEP, HEP, HADEP, OZDEP, DEHAP,DTP) , perché di
volta in volta chiuso dalle autorità turche e riaperto con altre sigle.
Capi e funzionari del partito, sindaci regolarmente eletti, consiglieri comunali,
giornalisti sono stati quasi tutti in carcere per periodi più o meno lunghi, e molti
sono costretti a emigrare. Altri prendono il loro posto con una volontà veramente
eccezionale di fare sopravvivere una idea, ma con privazioni personali e collettive
altrettanto eccezionali.
Quasi ogni famiglia curda, specialmente nella parte piu’ orientale del paese,
distretti di Dersim ( ribattezzata Tunceli dai Turchi, come del resto tutte le città
curde hanno cambiato nome), Van, Hakkari, Shirnak, ha o ha avuto almeno un
membro in carcere, in guerriglia o ucciso: queste famiglie non possono piu’
usufruire della Carta Verde che da’ diritto all’assistenza sanitaria alle persone piu’
povere, restando così senza il minimo soccorso umanitario.
Gli scontri con la polizia sono frequenti sia durante i festeggiamenti del Newroz
(capodanno curdo, 21 marzo) che per ogni manifestazione organizzata dai curdi.
Altrettanto frequenti sono gli arresti, anche di minorenni, sparizioni, esecuzioni
extragiudiziarie. Il trattamento dei minorenni in carcere è davvero indecente e
non di rado i giovani subiscono violenze di ogni tipo tanto che se ne occupa anche
Amnesty International, ma i Media europei vergognosamente tacciono come
purtroppo hanno taciuto sul massacro di Roboski (un villaggio di montagna ai
confini con l’Irak,) quando il 28 dic. 2011 un aereo turco ha bombardato, senza
alcun motivo, con gas e ucciso 34 curdi inermi di cui 19 minorenni ed è tornato
indietro dopo circa mezz’ora per completare la strage quando i sopravvissuti
cercavano di venire in aiuto ai compagni. Su 36 persone solo due si sono salvate.
Questi esempi pur sommari e non esaustivi, danno comunque un’ idea della
situazione e fanno capire perché un giovane possa decidere di lasciare tutto ed
andare in montagna. La discriminazione sessuale che pesa sulle ragazze e i limiti
imposti da tradizioni e religione, sono altra causa di fughe in montagna, per
affiancarsi alla guerriglia .
La vita di guerriglia è una vita molto dura, non tutti quando entrano sanno
esattamente quello che li aspetta, non tutti resistono. L’addestramento è di tipo
militare, con marce, esercizi, disciplina ferrea. Non ci sono normali campi di
addestramento in posti appositamente scelti e protetti. Qui si è in montagna tra
cime aspre e spesso aride con pareti scoscese e passaggi non agevoli e in inverno
c’è molta neve. Inoltre il nemico è sempre in agguato e può spuntare fuori da un
momento all’altro o sorvolare con aerei ed elicotteri pronti a bombardare, anche
con gas, appena vedono qualcosa muoversi o una postazione
Spesso addestramento e battaglia vanno di pari passo. Il giovane appena arrivato
è subito immerso in una realtà diversa, difficile, spesso sconvolgente . Nelle
montagne ci sono grotte o cavità naturali che possono essere sfruttate in maniera
temporanea, a volte si trovano case abbandonate. Ma più spesso si scavano
tunnel sotterranei (che per lo più ricalcano la forma delle abitazioni tradizionali
con corridoio al centro, due o tre camere da un lato e cucina e bagno dall’altro),
che sono un rifugio più sicuro per poter dormire, avvolgersi in coperte, quando
possibile accendere un fuoco per cucinare e scaldarsi e soprattutto non essere visti.
Questi rifugi, costruiti in fretta e con grande fatica quando arriva l’ inverno e
comincia a cadere la neve, comunque possono cambiare a seconda delle
circostanze e delle necessità contingenti.
Durante le marce di spostamento il bagaglio deve essere essenziale, il più
possibile leggero per non essere impacciati nei movimenti; spesso capita di
dormire fuori e le notti sono fredde, per questo i guerriglieri devono essere ben
temprati e addestrati a sopportare ogni sorta di difficoltà, intemperie, disagi.
Per lavarsi ci sono le sorgenti, le cascate, i vari corsi d’acqua limpidi e puliti ma
certamente freddi e d’inverno gelidi. La sera spesso si usano calderoni messi sul
fuoco con dentro la neve in modo che, sciogliendosi fornisce acqua calda con cui
farsi il bagno etc. Gli uomini riescono a tagliarsi i capelli e farsi la barba ma in
genere in inverno la lasciano lunga, forse per mantenere un po’ più di calore.
Le marce di spostamento o in vista di una battaglia avvengono spesso di notte
e…….”ci guidano le stelle” come recita la nota canzone. Le camminate in lunga fila
si vedono per lo più nei films o……nei calendari. Queste si possono effettuare solo
in casi di estrema sicurezza soprattutto nel sud del Kurdistan (nord Irak), dove
minori sono i rischi di essere visti da ricognizioni turche o almeno sono fuori dalla
loro giurisdizione. Lì ci sono vere e proprie basi dove si concentrano molte
persone , si costruiscono villaggi militarizzati e si svolgono diverse attività non
solo destinate a fini bellici. Ad esempio qualche anno fa i guerriglieri hanno
costruito una piccola diga e con un generatore sono riusciti a portare la luce non
solo per se stessi ma anche ai villaggi vicini che ne erano privi.
I guerriglieri che operano nel Kurdistan del nord (attuale Turchia) sono per lo più
divisi in gruppi non molto numerosi, per poter nascondersi ed agire più
agevolmente, guidati da un capo responsabile. Si comincia ad avere responsabilità
di quattro persone, poi il numero aumenta progressivamente. Le “nomine”
avvengono dall’alto, in stretto ordine gerarchico e non si contestano. I requisiti
non sono l’anzianità ma meriti ottenuti sul campo, attitudini particolari, destrezza,
serietà. Può capitare infatti che un ragazzo giovane dopo pochi mesi di ingresso in
clandestinità venga scelto come capo di un gruppetto di persone più anziane di lui
e venga accettato di buon grado.
Le donne, per lo più ragazze, che scelgono di unirsi alla guerriglia mi sembrano
ancor più degne di ammirazione perché il loro fisico e il tipo di vita che hanno
sempre condotto le rendono meno adatte a sopportare le difficoltà che questo
nuovo genere di vita comporta. Ma certamente sono determinate e convinte
quanto i maschi. Quando le azioni sono comuni, durante gli spostamenti spesso
gli uomini aiutano le donne a portare il bagaglio o danno una mano nei punti più
difficili ma non c’è molta differenza tra quello che fanno uomini e donne; spesso si
viene a conoscenza di donne uccise in battaglia o in agguati; comunque fanno vita
un po’ separata e dormono in posti diversi.
L’amore è fortemente scoraggiato, soprattutto i rapporti sessuali in quanto
eventuali conseguenze sarebbero ingestibili nella vita di guerriglia. Ma è naturale e
inevitabile che nascano storie d’amore, più o meno palesi, più o meno forti e
anche molto belle.
La guerriglia non è solo lotta armata, è anche sinonimo di Libertà. Può sembrare
un controsenso considerando, ad esempio, il tipo di disciplina che vige tra
guerriglieri. Ma è così. Non sempre si combatte e nei lunghi periodi di tregua si
svolgono varie attività. Innanzi tutto si parla curdo, nelle sue varie componenti
(curmanchi, sorani, zazachi, gorani) e chi non lo sa, lo impara. Si seguono
corsi,cosa molto importante vista la scarsa cultura di molte persone che non
hanno potuto, e in alcuni casi voluto, andare a scuola. Nelle scuole turche infatti
gli studenti fin dalle elementari vengono imbottiti di idee e mentalità turca, la
storia viene distorta e addirittura negata ( secondo una certa mentalità i Curdi non
esistono, sono Turchi della montagna). Insegnamenti di lingua, storia, politica
vanno di pari passo. Ma la scuola di guerriglia è una scuola particolare (molto
moderna tra l’altro ) diversa dalle scuole normali e in cui le lezioni frontali sono
ridotte al minimo. Gli “insegnanti” vengono scelti dalla base. Ad esempio , si
sceglie un argomento da trattare: due o tre persone indicate, soprattutto in base
alle loro competenze specifiche (ci sono anche parecchi laureati) ma non solo,
questi si preparano per il tempo necessario e poi espongono l’argomento a cui
segue una discussione aperta, ad es. se due persone parlano tra di loro gli altri
ascoltano, imparano, intervengono a loro volta con domande spesso volte a “tirar
fuori” dall’interlocutore quello che già ha dentro ma non riesce ad esprimere,
oppure attraverso domande mirate riesce a rendersi conto dei propri errori. Un
po’ il metodo che di usava nell’antica Grecia con Socrate; il tutto avviene
democraticamente e con ordine, cosa che sarebbe abbastanza difficile da noi
quando tutti parlano insieme e poco si ascoltano gli altri.
Tra i guerriglieri si impara ad essere autonomi, a chiedere aiuto solo quando è
indispensabile, ma anche ad essere solidali, non solo tra di loro ma con le varie
persone con cui vengono in contatto. Si impara ,o si rafforza, il senso di umanità,
di giustizia, di lealtà. La loro forza sta soprattutto nella mente, nella convinzione
psicologica di lottare per una causa giusta: la libertà e la dignità di un popolo che è
il più antico che abita questa terra, anche se questo comporta a volte la necessità
di essere duri e inflessibili. (Non credo sia casuale ma per la mia esperienza
personale posso affermare con sicurezza che tra i numerosi curdi che conosco
quelli che sono stati in guerriglia sono i più seri e affidabili.)
Si sente spesso dire che il PKK si finanzia anche con la droga. Questo è del tutto
falso. Alcuni curdi, è vero, spacciano o sono corrieri di droga ma il PKK è
fortemente nemico della droga ; se qualche gruppo si imbatte nei corrieri la
droga viene sequestrata e bruciata. Il denaro invece viene tenuto, ma questo
capita di rado, come rarissimo è il caso di guerriglieri che ne approfittano e sono
così fuori dell’organizzazione. Lo stesso atteggiamento hanno i sindaci dei comuni
nei quali la droga comunque passa (dall’Afganistan, dall’Iran la Turchia è un
passaggio obbligato), un altro genere di contrabbando (ad es. benzina, generi di
prima necessità) è invece tollerato in quanto spesso è unica fonte di guadagno per
la povera gente.
Il principale sostentamento della guerriglia viene dai contributi che
volontariamente danno gli emigrati curdi , in proporzione al loro reddito; dai
pedaggi che i guerriglieri riscuotono per aiuto prestato nel trasferimento di greggi
da un paese all’altro (es. Iran Turchia) che i pastori fanno per vari motivi spesso
familiari: questa è una “transazione” che conviene a tutti perché le quote che
esigono le autorità di frontiera sono molto più alte. ( 1 continua)
Pensare e ricordare accorciano le distanze..
ERMANNO CAVALLINI: Capitalismo a doppia valvola di sicurezza
porre rimedio ai guasti economici e sociali del capitalismo. Lo fa individuando una
sorta di “minimo intervento correttivo” capace di contenere, senza mortificarle, le
dinamiche economiche tipiche del capitalismo all’interno di limiti che salvaguardino
lo sviluppo ed il benessere di tutta la collettività. Peraltro in stretta aderenza con
l’art. 53 della costituzione italiana, tanto bella quanto scarsamente attuata.
La soluzione proposta è talmente semplice da apparire disarmante, ma il percorso
logico che porta alla elaborazione di questa soluzione mi è sembrato tutt’altro che
semplicistico, ma anzi il risultato di una ricerca e di una riflessione quantomeno
“seri”.
Al di là della reale possibilità di “attivare” un tale sistema attraverso una estesa e
condivisa presa di coscienza, come auspicato dall’autore, il libro ha secondo me il
merito di riuscire in poche pagine a dare un quadro di riferimento della portata delle
problematiche collegate all’economia.
Un libro che chiede poco tempo e regala parecchi spunti di riflessione ed
Attivita’ gruppo lettura 2010-2016
Il Cesta (Centro studi tradizione ed ambiente) ha avviato a Perugia, dal marzo 2010, con la collaborazione del Cris (Centro di ricerche sociali), un gruppo di lettura sul tema generale “Il potere e la libertà”. Considerata la recente scomparsa di Colin Ward, 84enne urbanista e pedagogo libertario inglese, il gruppo ha preso le mosse con la lettura di brani da alcuni dei suoi libri. Siamo partiti a marzo del 2010 con un idea generale di interessarci a scrittori poco conosciuti e spesso tenuti da parte perchè fuori dalla correnti di pensiero dominanti. Lo sforzo era di recuperare una visione libertaria della vita, della politica, della realtà. Chi aveva da proporre portava i materiali agli incontri. Non c ‘erano serate rigidamente costruite ma tutto è rimasto sempre molto libero. Non si sapeva mai bene dove si andava a parare nella discussione delle letture.
Credo che sia stata proprio questa massima elasticità a rendere così duraturo il Gruppo, in tempi in cui se una cosa dura più di 6 mesi è un miracolo.
Il Gruppo di Lettura GL ha rappresentato in questi 8 anni un momento di incontro fra persone spesso sconosciute fra loro. Per esempio: Mario Roberto F. Angelo Fausto Natale Francesca B. Dante Roberto M. si sono conosciuti lì, così come Paola Maria Pia Massimo Francesca G. Sandro Francesco Donatella Winfried Edo e tanti altri che sono passati in questi anni. Dalla conoscenza reciproca sono nate iniziative varie e spesso molto interessanti come le giornate capitiniane con l’ associazione Alia, l’orto sinergico a San Biagio ed addirittura una unione di studio fra Mario e Natale che li ha portati, ormai cinquantenni, ad iscriversi all’ università e costellare questa decisione con una laurea in scienze agrarie l anno scorso.
Il gruppo di lettura è stato anche questo, oltre alla conoscenza di tanti autori ed argomenti di rilievo anche se appartati.
Come in tutte le cose umane ci sono anche momenti di grande tristezza come quello della scomparsa improvvisa di Angelo, il nostro riferimento per quanto riguardava l’ambito scolastico e la nostra ricchezza per l’ approccio all’educazione democratica.
In alcune fasi politiche del nostro paese siamo stati presenti con approfondimenti e discussioni. Voglio ricordare qui solo l’ entrata dei 5 stelle nella loro prima campagna elettorale, che spaccò in due il gruppo, e il referendum sulla Costituzione che invece ci vide compatti per il No con una serie di approfondimenti su testi appositi.
Di partecipanti ce ne sono stati in questi anni una cinquantina, anche se il numero medio per ogni incontro va dagli otto ai quindici. Dimensioni queste che permettono molto meglio il dialogo, rispetto a gruppi più numerosi.
Abbiamo cambiato per tre volte sedi, con la prerogativa di rimanere sempre nel centro storico. Attualmente siamo ospitati dalla biblioteca Aldo Capitini in S. Matteo degli Armeni (Perugia).
Modalità:
Il gruppo fin dalla costituzione non si è voluto dare un programma rigido di letture da seguire ma ha scelto periodicamente secondo le esigenze i filoni di approfondimento.
Si è partiti con la tematica “Libertà e potere” cercando approcci e interpretazioni in quella cosiddetta “Altra tradizione” della sinistra più rispettosa delle istanze di libertà. Punto di riferimento è stato il mensile “Una città” di Forlì che da anni cura la documentazione e la discussione sul tema della sinistra libertaria e di critica al marxismo.
Abbiamo tratto diversi spunti in tal senso dai testi di Colin Ward, urbanista libertario inglese deceduto ad 83 anni proprio il mese prima che il nostro gruppo si costituisse. Ma anche da Illich, Capitini, Goodman, Camus, Berti. Altro argomento successivamente trattato fu quello della scuola, con particolare riguardo alle forme di insegnamento democratico. Si partì dalla lettura di alcuni capitoli di “Compagno maestro” di Schmid, per arrivare alle esperienze europee di pedagogia democratica passando per Lev Tolstoj e la sua scuola di Jasnaja Poljana. Sul tema “La città” si è letto e discusso per circa tre mesi da Toesca, Illich, Ward. Una serata l’abbiamo dedicata alla lettura di Herzen sul risorgimento italiano. In vista del referendum sull’acqua in alcuni incontri si è letto e discusso da Shiva, Ward, Orsenna.
Per la presentazione della riedizione Laterza di Religione aperta di Capitini si sono letti brani
dell’autore sotto la guida del prof. Mario Martini.
Sempre sull’autore viene presentata una ricerca fatta da una componente del gruppo sulla presenza di Capitini all’università di Cagliari. Si leggono contributi da Altieri e Fofi (Vocazione minoritaria) riguardo la prossimità di Capitini con il pensiero antiautoritario, riscontrata anche nella sua collaborazione con la rivista anarchica Volontà e l’impegno con Ferdinando Tartaglia.
Nel quarto anno abbiamo lavorato sulla riscoperta di autori importanti ma stranamente accantonati dalla cultura ufficiale come Francesco Saverio Merlino (il suo bellissimo “Socialismo senza Marx”) e Ivan Illich.
Da dicembre 2013 sono iniziati gli incontri settimanali di lettura di Nemesi medica di Ivan Illich, e degli scritti di Nicola Chiaromonte.
Nel marzo del 2016, in concomitanza dell’inaugurazione del Giardino dei giusti alla San Matteo degli Armeni, ci si è incontrati per leggere e parlare del romanzo storico “I quaranta giorni del Mussah Dagh” di Franz Werfel, riguardante il genocidio di circa un milione e mezzo di armeni da parte dei turchi nel 1915. E’ stato proposto di dare una continuità alla conoscenza di questo triste capitolo della storia umana con incontri periodici su questo “olocausto sconosciuto
Filmati:
-Documentario Rai su Aldo Capitini e la marcia Perugia Assisi
-Film documento Unesco sui pesticidi negli alimenti: “I nostri figli ci accuseranno”,
Feltrinelli Iniziative:
-Collaborazione con associazione Alia per la giornata con le scuole su Capitini e la nonviolenza, a Valfabbrica.
-Presentazione di materiali sugli “Orti sinergici” e messa in pratica sui terreni di alcuni soci.
Presentazione di esperienze sul campo in territorio kurdo.
MARZO 2010-MARZO 2016 | ||||||
I brani letti in questi anni sono tratti da: Ivan Illich, La convivialità Boroli ed., Nemesi medica, red ed. |