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ARCHITETTURA SOCIALE.

Di Roberto Fioroni

Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi ci sta scritto “ conosci te stesso” , Sant’Agostino riprende il concetto con un monito: non andare fuori, rientra in te stesso, è nel profondo dell’uomo che risiede la verità.
Mi ricollego ai principi dello Yoga con una frase del cinese Lao Tzu: chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce se stesso è illuminato.
Ogni cittadino, più o meno consapevolmente affida la rappresentazione di sé e del proprio status alla apparenza visibile della casa. La stessa cosa è per gli edifici della città; nella città, come nella casa o nelle opere dei cimiteri, ciascun individuo affida il proprio desiderio di immortalità, il sentimento dell’eterno, che possa sopravvivergli, le nostre case durano almeno una generazione; altri edifici della città, con i temi collettivi, come le cattedrali, la piazza civica, il palazzo comunale, incorporano una durata senza limiti.
L’architettura sociale si contrappone alla architettura autoreferenziale con le sue esibizioni di tecnica ed estetica, queste cadono in secondo ordine se non sono finalizzate al benessere della collettività e al bene comune.
Nasce una componente “ politica”, intesa come sociale, nella progettazione a scala domiciliare e urbana. La finalità dell’architettura sociale è quella di restituire ai cittadini la possibilità di condividere i progetti e partecipare alla costruzione della città legata ai propri bisogni e aspettative; almeno la possibilità di costruire la propria casa; la città e la sua architettura sono lo specchio e la risultante della società.

RUOLO DELL’ARCHITETTO.

La casa e l’architettura della città deve saper narrare, e lo fa anche non volendo, i propri spazi e la loro genesi ( story telling ); l’architettura non deve essere alla moda, non deve fare inutili esercizi o capricci creativi. L’architetto deve evitare la vetrinizzazione, la plastificazione della vita quotidiana. Siamo all’inizio di un’era in cui le costruzioni ci fanno più paura delle rovine ( Rebecca Solnit ); le rovine sono quello che rimane della città: left over, trascurata, messa da parte, quando le intenzioni dei pianificatori, degli amministratori e degli architetti smettono di esistere; gli architetti abbandonano il progetto, una volta realizzato, la costruzione è lasciata al suo destino. L’architettura celebra spesso il potere, gli edifici sono sempre con noi, la democrazia è un fatto urbano, l’architettura è la sua arte. Fuksas dice che il problema è politico: i politici devono combattere l’ingiustizia distributiva che affligge le città, sta a i politici affrontare l’emergenza generali in cui viviamo. Gli architetti si occupano di ben altre cose, di abbellimento formale, di decoro, di cose carine, insomma. Questo è l’alibi, in un modo o nell’altro; gli architetti producono la ciliegina, il loro lavoro è sempre di più marketing dei prodotti, dei brands ( modi di vita suggeriti dall’alto ), della moda, o del turismo e dello spettacolo. Le ARCHISTAR sono artisti al servizio dei potenti, ormai delle grandi ditte economiche, stabiliscono trends adatti a stupire e a richiamare il grande pubblico con trovate che non sono nemmeno edifici, ma messe in scena, enormi cartelloni pubblicitari, sedi di agenzie di comunicazione e qualche spettacolare quartiere disneyzzato. Come la cittadina Seaheaven, perfetta, pulita, ordinata da sembrare finta:

Seaside nel Truman show

la cittadina in cui viveva Jim Carrey in The Truman Show; la storia è tratta da una intuizione di Philip K. Dick, il grande scrittore visionario di fantascienza. La città esiste davvero in California, si chiama Seaside, è la più importante comunità di vacanze dai tempi di Versailles, è la sede ideale della middle class americana; quella che può permettersi di traslocare, di vivere lontano dalla sede lavorativa, che cerca sicurezza, armonia, buon vicinato; tutto ciò che le grandi città non sono più in grado di offrire, ad un prezzo molto caro. Il capitalismo non è stato salvato solo dall’industria, siamo in una fase più avanzata: il capitalismo è stato salvato dalla finanza, dall’arte dei creativi applicata alla produzione di simulacri formali, tendenze, stili e superfici. L’archistar non lavora per la moda, diventa moda egli stesso e dunque brand, logo, garanzia per potere firmare un pezzo di città, un museo, un negozio, un’isola di Dubai ( con i suoi grattacieli senza democrazia ), tutto come se fosse una T-shirt. L’arte e l’architettura sono diventate puro spettacolo, non soltanto, si è ancora più smaterializzata per diventare l’allusione al guizzo creativo, la possibilità di acquisirne l’atmosfera: l’allure, il portamento, l’eleganza delle mosse. L’architetto garantisce che la città sia alla moda, inserita nei trends che fanno l’happening, la cornice dell’evento. Poi l’architetto ha l’alibi di non avere alcuna responsabilità, di essere un umile artista, un artigiano al servizio del potere, lasciando i problemi a quelli che dovrebbero gestirli, che non sono mai la soluzione dei problemi. L’architettura fa ancora il bene della città? In pochi anni l’85% dell’Umanità vivrà nelle città. Il settore delle grandi opere copre il 78% della corruzione mondiale, secondo l’agenzia Transparency International, associazione non governativa che si occupa della corruzione nel Mondo. Ma l’architettura può ancora avere una straordinaria funzione democratica, può essere il luogo di incontro di coloro che tentano di costruire la città più giusta. L’architettura è una professione di pensiero sul paesaggio e sulla città, un milieu intellettuale, un ambito, un contesto sociale, culturale e artistico, sensibile all’ambiente costruito e naturale. Vanno pensati luoghi di aggregazione, piazze, parchi, impianti per lo sport e lo svago, strade pedonali e ciclabili, orti: posti che consentono parità di accesso, occasioni di incontro, di integrazione sociale e di condivisione di esperienze quotidiane. Ci sono molte forme dell’abitare alternative. L’architettura spontanea, l’autocostruzione, il nomadismo urbano e non, comunità agresti e di mutuo soccorso, case per le comuni; ma non solo questo, ci sono forme semplici dell’abitare simili a quelle della cultura materiale del passato, la modernità è una tradizione ben riuscita.

Alejandro Aravena

LA BELLEZZA E L’ARCHITETTURA

Il passato: secondo i Greci la bellezza non è solo verità ma anche e soprattutto bene, il bello va con il buono. La natura, le piante e gli animali hanno il senso della bellezza, ce l’hanno i bambini e le persone ignoranti; gli architetti e gli artisti hanno un rapporto professionale con la bellezza, devono definirla, renderla esplicita e qualche volta misurarla. La bellezza che ci interessa è quotidiana, è quella del paesaggio domestico composto dal dentro e dal fuori delle nostre abitazioni., dalle strade che percorriamo normalmente, dai luoghi che ci sono consueti e cari: essa quando esiste ed è godibile da tutti, è simbolo di grande democrazia: in questo senso mi pare che abbia un valore umano e sociale incomparabile e un potere nobilitante che le attribuivano i classici e romantici.
Amare le cose belle significa provare piacere a dividerle con gli altri, la bellezza civile., il senso collettivo della armonia, dell’unità del fare. Occorre un amore disinteressato, Cicerone diceva che solo l’amante della sapienza si accosta alle cose come puro spettatore.
Se a pochi è dato il talento, di creare grandi opere, a noi tutti resta la grande gioia del FARE CON CURA ( cure giving ) , non possiamo tutti creare il sublime ma piuttosto sforziamoci di fare il piacevole: creare spazi interni ed esterni degni di essere amati, ricordati, luoghi del sentimento e della ragione.
Il bello è là dove si vede il lavoro della mente, dell’animo e delle mani.
L’architettura, come l’arte, è fatta di:
CUORE: i sentimenti, l’estetica, il ricordo, la filosofia, il chiedersi perché si fanno certe cose, la percezione della buona forma o psicologia della Gestalt, l’armonia o Kata Metron.
TESTA: il rigore scientifico, la misurazione, la professionalità, l’ingegneria delle strutture e degli impianti, lo studio della funzione, l’economia , il Sistema Qualità.
MANI: gli interventi concreti, le tecnologie, lo studio dei materiali,di come si applicano e dei loro cambiamenti nel tempo, la gestione, manutenzione e riparazione.
GENIUS LOCI: nell’antichità era la divinità protettrice di un luogo; lo spirito, il carattere di un posto, se opero in un luogo devo interagire con esso, con le sue peculiarità. Al contrario oggi nascono i non luoghi di Marc Augè, posti che potrebbero trovarsi ovunque sul pianeta.
IL PROGETTO: la scelta di infuturarsi, come diceva Dante. Provare a prevedere il futuro.
LA SOSTENIBILITA’: ci vogliono leggi giuste e condivise che evitano le azioni dannose per l’ecosistema città e paesaggio, che possano premiare le azioni che rendono essi più vivibili. I popoli moderni non sono più cattivi o stupidi di quelli del passato ma sono più confusi. Bisogna allora pensare globalmente e agire localmente, partire dalle piccole cose, dalla gente come protagonista diretto delle decisioni progettuali. From the bottom up, dal basso verso l’alto; spesso le soluzioni che vengono imposte dall’alto sono inefficaci, invece le soluzioni concordate e condivise dal basso risultano più efficaci.

LUOGO E COMUNITA’

In passato l’architettura, nata dalla tradizione locale, è stata il risultato di una perfetta armonia tra l’essere umano e l’ambiente circostante. Le strutture sono state costruite con grande economia di mezzi, con materiali disponibili localmente. Le comunità e l’architettura hanno imparato a conoscersi nel tempo, gli abitanti capivano il significato del costruire in tutti i suoi aspetti. Oggi, nelle società moderne, si tende a centralizzare e omologare il processo decisionale della trasformazione dell’ambiente; la maggior parte degli interventi urbani di grande dimensione è operata da soggetti che non fanno parte della collettività per la quale si sta progettando. I veri bisogni degli abitanti rimangono spesso inespressi e non risolti. SE LA POPOLAZIONE NON PARTECIPA ALLE DECISIONI CHE LA RIGUARDANO, E’ LECITO DEFINIRE UNA POPOLAZIONE COME UNA COMUNITA’ ? La parola comunità fa riferimento ad un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune e che abitano lo stesso luogo. Con lo sviluppo della società moderna e con la nuova urbanizzazione questa cosa si è indebolita quasi fino a scomparire: l’uomo è confuso da questa frammentazione e globalizzazione del mondo. Spesso le tecnologie della comunicazione e le reti informatiche hanno esploso, confuso , frammentato il senso di identità spaziale e locale delle comunità. Invece all’interno delle comunità gli individui membri comunicano, si scambiano informazioni, elaborano e realizzano progetti; a volte si incontrano, spesso prendono decisioni comuni che apportano benefici alla comunità intera e facilitano la realizzazione di obbiettivi che la mantengono coesa. Ovviamente le persone continuano ad abitare delle località, quartieri, zone, frazioni, condomini, ma una località abitata non è necessariamente una comunità. Le componenti costitutive una comunità sono dunque indebolite nella città contemporanea soprattutto e si riflette nella caratteristica di insostenibilità propria dei nostri centri urbani. Nelle città stanno scomparendo i luoghi, CHE COSA E’ UN LUOGO? Non è un sito, uno spazio, cioè un punto nella carta geografica con delle coordinate. Il luogo deve essere fisico, tangibile, come la vita che va toccata, legato alle esperienze fisiche e sensoriali, intriso di sentimenti, significati, ricordi…Deve far stare bene chi vi abita: il luogo è un pezzo di ambiente di cui ci siamo riappropriati con i sentimenti. Per molti cittadini gli unici spazi di vita quotidiana, che si possono considerare luoghi sono gli ambiti privati: la casa, il giardino, l’auto; gli spazi pubblici, le aree aperte della nuova città, sono, per gran parte della popolazione, dei non luoghi: nessuno o pochi li amano e se ne prendono cura.
Il progressivo peggioramento della qualità dell’ambiente costruito si sviluppa con il marcato distacco tra i cittadini e gli spazi della città, e si perde lo spirito di un luogo, la qualità di uno spazio di renderlo memorabile o rappresentabile, una qualità presente in quei luoghi che ci danno la sensazione di “ essere arrivati”; questo sentire IO SONO QUI, l’identità di un luogo, quello che lo caratterizza come distinto e particolare. Qualità architettoniche e paesaggistiche che nel tempo diventano notevoli, possiedono armonia nelle loro dimensioni e nelle loro forme, sono inseriti in maniera equilibrata nei loro contesti naturali, nascono da capacità artigiane e di qualità dei materiali costruttivi. Ma non è solo la qualità fisica che crea questo spirito, che lo rende luogo, la sua identità è intimamente intrecciata con l’identità degli individui e della comunità che abitano in quel luogo. Le connessioni tra abitanti e luoghi storici, ricchi di genius loci, si sono costruite nel tempo con l’uso e i processi che hanno visto la comunità partecipe della sua creazione e sviluppo, della sua cura e difesa. E’ molto difficile affermare il proprio essere nelle strade anonime e tra i palazzi grigi e uniformi delle nuove periferie; l’origine di questo fenomeno va ricercata non solo nei modelli della nuova urbanizzazione o nella forma dello spazio urbano ma anche nei meccanismi della sua produzione e della sua gestione. Potersi identificare con la località nella quale si abita, potersi sentire parte di una comunità e di uno o più luoghi urbani, sono elementi che contribuiscono non solo alla qualità della nostra vita ma anche al nostro modo di fare politica, inteso come disponibilità a farsi coinvolgere nei processi decisionali che influenzano il presente e il futuro di quel territorio comune che sono la città e il paesaggio.

PARTECIPAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Che cosa facciamo dipende da chi siamo o pensiamo di essere, o meglio siamo solo ciò che facciamo; in questo caso in che modo ci rapportiamo agli altri, dal luogo che abitiamo e dalle questioni che l’abitare quel luogo sollecita in noi.
ULAY, il compagno di Marina Abramovic dice: AESTHETIC WITHOUT ETHIC ARE COSMETICS, l’estetica senza etica è solo cosmetica.
Parafrasando Paul Goodman: siamo tutti disposti a eliminare qualsiasi privilegio personale per il verde dell’erba e le acque chiare dei fiumi, per gli occhi brillanti e i visi coloriti, di qualsiasi colore, dei bambini, per le persone non costrette a subire ordini e libere di essere se stesse? Che importanza hanno i prati, le acque chiare e i bimbi per un progettista delle città contemporanee e di chi le gestisce e le abita?
E’ meglio occupare il cortile sotto casa con le automobili o farci giocare i bambini?
Il migliore e più potente motore del cambiamento rimane l’esperienza diretta: le persone cambiano quando scoprono attivamente che un altro modo di fare le cose, di vivere o di essere è più piacevole o soddisfacente della vecchia maniera. Per quanto riguarda l’educazione ambientale il metodo si è raffinato negli ultimi anni mirando a informare o educare il cittadino a proposito di passi e azioni semplici che potrebbe intraprendere nel curare o gestire il proprio ambiente. Però, questa impostazione continua a escludere il cittadino dall’identificazione a monte dei problemi; in questa maniera, l’ordine del giorno ambientale continua a essere imposto dall’alto e continua erroneamente a far capire che ci sono risposte singole, spesso univoche, ai nostri problemi ambientali. Questo è un errore dal punto di vista ecologico. L’eco-design innesca uno sviluppo progressivo: gli stessi principi ecologici applicati in diversi contesti ambientali e culturali producono soluzioni diverse. La progettazione ambientale ecosostenibile, e l’architettura sociale, riconosce alle persone un ruolo importante a fianco degli esperti. Ci sono delle difficoltà, ad esempio nella attuale assenza di legami, che ci connettano alla comunità locale e al luogo che abitiamo, è impossibile sviluppare un senso di responsabilità presente e futura verso l’ambiente globale. Senza esperienza diretta nella definizione e gestione dei problemi ambientali, è molto difficile decifrare le interrelazioni tra le nostre azioni individuali o collettive e gli avvenimenti esterni e lontani nello spazio e nel tempo, e di conseguenza cambiare i nostri lavori. Dunque non esiste modo migliore per costruire la sostenibilità urbana che la partecipazione dei cittadini alla identificazione dei problemi e delle risorse locali e alla elaborazione delle soluzioni a queste connesse.
Per un sistema naturale, la biodiversità è una delle caratteristiche più importanti nel definire il suo grado di sostenibilità. Il dialogo tra le persone con diverse esperienze, percezioni e valori, permette di vedere l’oggetto della partecipazione come un’entità composita, come un insieme di luoghi e funzioni diversificate. In quanto individui, vediamo solo un pezzo del mosaico territorio/ città; per superare questa posizione e trovare il terreno comune ricercato è necessario ascoltare gli altri e apprendere de loro, soprattutto da quelli che la pensano diversamente da noi.
Mac Leod HA IDENTIFICATO DEI VALORI COMUNEMENTE ASSOCIATI ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE:
Assicurare l’equità tra generazioni; una generazione, per stare bene, non deve farlo a scapito della prossima.
Conservare la biodiversità e l’integrità ecologica.
Preservare il capitale naturale e il reddito sostenibile minimo e dignitoso.
Sostenere un approccio alla politica che sia anticipatorio e precauzionale.
Garantire l’equità sociale.
Limitare l’uso delle risorse naturali.
Cradle to cradle, dalla culla alla culla, processi a rifiuti zero.
Attribuire un valore economico alle risorse ambientali, al paesaggio, alle acque chiare, all’aria pulita eccetera.
Perseguire in questo l’efficienza con poca burocrazia e molta praticità.
Realizzare un’economia stabile e ciclica, che gestisca lo stato di equilibrio.
Promuovere la partecipazione comunitaria
.
Ragionare con semplicità, in proposito Einstein diceva che se non riesci a spiegare un concetto ad un bambino di sei anni, non l’hai capito nemmeno tu!

UNA IPOTESI DI METODO

Questi valori o principi sono alla base dei documenti e delle convenzioni sull’ambiente ma quanti di questi sono noti e applicati da un cittadino? Parole come biodiversità, ecologia nella bocca dei politici e di tutti non hanno alcun significato senza questi valori, rimangono inutili e incomprensibili.

Raymond Lorenzo

Raymond Lorenzo, docente di urbanistica a New York, vive a Perugia ed è consulente del WWF, sostiene che per costruire o trasformare una città in un ambiente sostenibile è necessario prestare attenzione alla base, non solo intesa come supporto naturale o ecologico, ma soprattutto come coinvolgimento diretto della comunità locale nelle decisioni progettuali, propone un metodo di lavoro. Secondo Raymond Lorenzo va fatto un gioco di ruolo con un facilitatore, che presenta la strategia della partecipazione, i bambini come catalizzatori, narra dei casi concreti applicati a Foligno e Milano, e di altri casi nel mondo; il metodo è spiegato nel suo libro: “La città sostenibile, partecipazione, luogo, comunità.
Va citato anche il libro “ L’architettura di sopravvivenza” di Yona Friedman, con le sue riflessioni sulla povertà:” In passato avere una casa, in campagna, non era un problema insormontabile; il contadino muratore, con l’aiuto della famiglia e dei vicini, poteva costruire i muri e il tetto della propria casa servendosi dei materiali di cui disponeva in modo relativamente libero, i materiali erano terra battuta, pietra, paglia, legno…
Era più facile avere una casa che mangiare.
Nell’epoca industriale le città sono piene di case costruite male da altri e date spesso in affitto, la povertà si esprime in maniera opposta: è più facile mangiare che avere una casa. Nell’epoca contemporanea l’uomo moderno produce denaro, servizi. ( solo il 5% produce cibo, il 15% produce beni industriali ) Se con quel denaro prodotto poteva vivere meglio di come nel passato, adesso non può farlo perché non ne ha a sufficienza per le varie convenzioni, mode e servizi del mondo di oggi. “
Nelle case prima della guerra c’erano 40-100 oggetti, oggi ce ne sono almeno 4.000-10.000, provate a contare i vostri! Inoltre ecco che oggi bisogna spendere molto per avere dei servizi che in passato erano, in qualche modo, gratuiti: accudire bambini, fare riparazioni, lavare, pulire, farsi da mangiare…In futuro, forse l’uomo tornerà a farlo da sé, ecco che l’autoproduzione e l’autopianificazione potrebbe essere necessaria. Situazione diversa nei paesi non industrializzati: i contadini lasciano la campagna; la sovrappopolazione e l’impoverimento del suolo rendono la sopravvivenza più difficile, abbandonano la terra perché credono che nelle città troveranno un lavoro che permetterà loro un più alto livello di vita. E’ così che si formano le baraccopoli, o bidonville, intorno alle grandi città del terzo mondo e ogni tanto anche nei paesi occidentali.

Yona Friedman

Come potranno sopravvivere? La sovrappopolazione e la povertà con la mancanza di risorse potranno essere risolte dal progresso tecnico scientifico? Abbiamo una minima idea, da futurologi, per riuscirci? La attuale tecnologia industriale non basta a fare scomparire la povertà, lo farà una futura organizzazione politico-industriale? Magari organizzata sulla telecomunicazione.
E’ evidente che oggi nessuno ha la minima idea di come si potranno assicurare a circa 4 Mld di esseri umani: una casa all’occidentale anche rudimentale, un’automobile anche solo una bicicletta, per non dire della quantità di cibo abituale nei paesi industrializzati, i servizi, i trasporti, il tutto grazie ai metodi industriali. Con l’attuale produzione industriale, ammesso che ci siano le risorse e materie prime, ci vorrebbe circa mezzo secolo ma intanto l’Umanità avrà ancora più individui. Per il cibo e la casa, le promesse dell’industrializzazione non potranno dunque essere mantenute. Vivere significa avere acqua e cibo, il resto viene dopo. Se proviamo a classificare le cose indispensabili per la nostra esistenza, in funzione del tempo durante il quale non possiamo vivere senza, otterremo il seguente ordine: aria, acqua, cibo, protezione climatica; tutti gli altri bisogni vengono molto dopo…..
Dovremo vivere ed interagire in un contesto pensato e costruito a scala più umana che possa stimolare comportamenti e cambiamenti positivi, con il rispetto della cultura delle persone che ne beneficeranno. Non si vogliono imporre idee e soluzioni, nel nostro caso architetture, che possano risultare aliene o non coerenti con le necessità o il contesto in cui si inseriscono. Ogni persona ha diritto a un minimo di progetto di qualità anche estetica. Il rispetto per le risorse naturali del luogo e globali, questa è la sfida più grande.
Vorrei citare anche la proposta di Architettura della Partecipazione dell’architetto cileno Alejandro Aravena. D’ora in poi l’architettura sarà di tutti e per tutti; oltre che ridurre i costi, le comunità potranno vedere i risultati ottenuti e i miglioramenti che questa pratica hanno già prodotto in altre situazioni. Aravena ha postato sul suo sito un progetto free, ognuno è libero di scaricare questa proposta progettuale di casa piccola, autonoma e espandibile.

Alejandro Aravena

Un simpatico architetto italiano, Marco Ermentini, collaboratore di Renzo Piano, propone L’architettura Timida del Rammendo, della ricucitura della periferia e degli edifici nel caso del restauro; metto a posto o sostituisco solo quello che in una casa o in una città non funziona più, non ha senso buttare ciò che ancora può funzionare. L’architetto non vuole più lasciare il segno; vuole provare a risolvere le periferie che sono ormai il luogo primario, in fondo siamo alla periferia della galassia, nella periferia del nostro mondo animale. Un vecchio portone perché deve essere sostituito se ancora funziona o si può riparare, una muratura con i buchi, perché tapparli senza un buon motivo. I jeans strappati, evoluzione della estetica punk come le calze strappate, sono la testimonianza di una nuova bellezza. Questo nuovo modo di vedere la bellezza è il Wabi-Sabi, che costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermalente e incompleta” deriva dalla dottrina buddhista dell’Anitya. Dunque vanno fatte piccoli azioni, meno interventi e più intelligenza. Viviamo un cambiamento epocale simile a quello della rivoluzione industriale, le professioni stanno cambiando e anche l’architetto dovrà diventare nomade, un medico condotto, tornerà la casa bottega. Cerchiamo di anticipare certi cambiamenti, infuturiamo la nostra professione con nuove azioni di regista, compositore e maestro di orchestra di una musica suonata in accordo con i fruitori. L’architetto sta con la gente e sperimenta con essa, è un facilitatore e un regista di un gioco di ruolo, un tutor.

Bibliografia un po’ ragionata:

La città sostenibile ( Raymond Lorenzo )
L’architettura di sopravvivenza ( Yona Friedman )
Una casa non è una tazza ( Giovanna Franco-Repellini )
Contro l’architettura ( Franco La Cecla )
Progettare la Felicità ( Sabino Acquaviva )
Salviamo il Paesaggio! ( Luca Martinelli )
Fate poco ( Angelo Fanelli e il Gorino! )
La città come opera d’arte ( Marco Romano )
Piccolo manuale per imparare a fare e ricevere critiche ( B. Beckhan )
Futuro ( Marc Augé )
Sociologia ( Berger P.L. e Berger B. )
Il cadavere della Bellezza ( S. Bulgakov, N. Berdjaev )
Maledetti Architetti ( Tom Wolfe )
Gli architetti dovrebbero ammazzarli da piccoli! ( Matteo Clemente )

Oltre all’Architettura Sociale, sarebbe giusto parlare di Arte Etica, menzionata prima da Ulay: per esempio l’artista Beyus, che disse che siamo tutti artisti, come è vero che siamo tutti architetti. Beyus creo’ la Fondazione dell’Istituto per la rinascita dell’Agricoltura, la piantagione Paradise con la messa a dimora di 7000 piante per biodiversità, è noto il suo incontro con Burri presso la Rocca Paolina di Perugia e le sue sei lavagne illustrate.

Beyus e Burri a Perugia

Banksy , che ci dice: “Ho intenzione di dire come la penso, perciò non ci metterò molto. Contrariamente a quanto si va dicendo, non è vero che i graffiti sono la più infima forma d’arte. Certo, può anche capitare di dover strisciare furtivamente in piena notte e dire bugie alla mamma, ma in verità è una delle forme d’arte più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo o ostentazione, si espone sui migliori muri della città e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.” Banksy è contro la mercificazione dell’arte, espone all’esterno opere che ci obbligano a pensare in forma critica la nostra civiltà.
Infine l’artista cinese Ai Weiwei, attivista dei diritti umani, ha denunciato il governo cinese ma è stato spesso critico anche verso la civiltà occidentale; ha esposto varie volte in Italia, a Palazzo Te a Mantova e Palazzo Strozzi a Firenze. Ha diretto un documentario in cui racconta le migrazioni attraverso le immagini girate in 22 paesi del mondo. Ai Weiwei è artista ma soprattutto architetto e attivista, ecco cosa dice: “ Per me l’architettura ha un forte valore estetico e include un giudizio morale…Questo permette di potersi costantemente chiedere: E’ UTILE? Il giudizio è dunque su quanto e quanto bene coinvolgi attraverso l’architettura, su chi la userà.”

Lego et Libertà.

di Roberto Fioroni

Non lo puoi forare, incollare o verniciare, non sarebbe etico anche se si tratta
di un oggetto inanimato; puoi solo sfruttare il massimo della potenzialità del
suo “stud” o “knob” , cioè l’Incastro, da cui dipendono tutti i pezzi, una specie
di Dna-Rna , il suo tratto caratteristico, lo stud, infatti, è l’unità di misura
che si incastra e si collega con i molteplici antistud di varie fisionomie.
Stiamo parlando del Lego, geniale intuizione di un falegname danese di Billund;
lui e suo figlio ebbero l’idea di delegare a dei tecnici creativi la vasta
genealogia dei pezzi Lego, ancora oggi la Lego paga un gruppo di creativi che,
per lavoro, devono “solo” andare in giro per il mondo a cercare modelli e tipi
antropologici da trasfigurare poi con i pezzi Lego. Dunque sempre e comunque
assemblaggio, la stessa parola Lego è la somma di due acronimi in danese:

Leg + Godt , vuol dire: gioca bene. Ma vorrei evitare di descrivere tutto il
glossario, i rapporti proporzionali, basati su sedicesimi di pollice,
paragonabili alle regole armoniche dei classici stili greci, e poi tutte le
nuove idee che nascono dai numerosi artisti-inventori-costruttori, il fatto
che ogni elemento ha un codice, un nome caratteristico, un numero di serie,
insomma pezzi di un Dna tecnologico i quali ti permettono, a partire da un
determinato pezzetto, di risalire a quale figura complessiva, o organo costruito
facevano parte. Tutte le armonie dell’Universo, a cominciare dai mattoni della
materia, i Quanti, ma anche gli stili architettonici, le statue greche, le
partiture musicali, gli alberi o gli insetti, sono modulate da sistemi
proporzionali, dove non conta la grandezza dimensionale per percepire o definire
la loro bellezza ma il rapporto tra le parti, la buona forma. Forse ci sta anche
un intrigante significato latino del verbo LEGO, nel senso di Delegare; infatti
al Lego deleghiamo, cioè affidiamo al Lego la nostra immagine e fisionomia del mondo
antico e moderno. Ancora, se la costruzione della Torre di Babele si smontò a causa
della confusione e incomprensione tra idiomi, il Lego possiede l’unico idioma
dell’incastro che lo rende chiaro, intuitivo ( frendly o smart ) accessibile a
chiunque abbia una qualsiasi lingua o età. La sua è una ispirazione trasversale
che affascina non solo bimbi ma scienziati, tecnici, artisti. Vorrei citare
la mostra itinerante di “Lego e Arte” di Nathan Sawaya oppure la ricostruzione
del campo di concentramento Auschwitz, acquistata dal museo di Varsavia.

Il Lego è come un medium compositivo a cui abbiamo delegato la nostra immagine e
fisionomia , la rappresentazione in scala ridotta, trasfigurata, del mondo soprattutto
moderno; il Lego è il medium, e se Marshall McLuhan affermava che il medium è il
messaggio, allora il Lego è il messaggio, può anche diventare un potente messaggio di
libertà.
Il sito Artribune, nel suo articolo “ Ai Weiwei VS Lego. Il mattoncino della discordia” ,
racconta che l’artista pechinese, sempre al centro delle cronache internazionali,
viene boicottato, stavolta non dal governo cinese ma dalla Lego; infatti la multinazionale
danese, esempio di neutralità e pacifismo, gli aveva negato un maxi rifornimento di
mattoncini che era destinato a comporre una grande installazione. Ai Weiwei si è scontrato
con un muro di plastica indeformabile ABS, cioè mattoni Lego, peggio di un muro di gomma.
L’artista cinese aveva richiesto alla Lego una grande quantità di mattoncini colorati,
con cui costruire una serie di ritratti, una sua tecnica che aveva già usato in passato;
infatti nel 2015 aveva costruito un’installazione composta da 176 volti di prigionieri
ed esiliati politici di tutto il mondo ( Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi, Martin Luther King ),
i ritratti, realizzati con i mattoncini Lego e calpestabili, avevano tappezzato il pavimento
dell’ex prigione di Alcatraz, nella baia di San Francisco. La neutrale e pacifista
multinazionale danese negò la fornitura, che Wei avrebbe voluto acquistare, con la motivazione che la Lego si asteneva ad avallare l’uso dei mattoncini in progetti o contesti di natura politica.
La reazione di condanna dell’artista si era tradotta con una foto, su Instagram seguita dai suoi
milioni di followers, di un water, di duchampiana memoria, riempito di pezzi Lego, prima di tirare lo sciacquone. Chiaramente i motivi della multinazionale erano economici, c’erano in ballo colossali affari con la Cina, l’Asia e aperture di fabbriche in quel paese.

L’artista cinese, comunque, se l’è cavata alla grande, grazie alla donazione di migliaia di confezioni Lego acquistate singolarmente dai suoi estimatori e inviate presso il suo studio di Pechino. Poi anche la Lego ha fatto marcia indietro, ha dichiarato che avrebbe chiesto in futuro ai clienti che acquistano all’ingrosso o in grandi quantitativi, cioè decine di migliaia di pezzi, di esprimere chiaramente che Lego non promuove, né sostiene le loro opere, se esibite in pubblico. Dunque il Lego non più messaggio ma solo medium? Forse…Di fatto l’opera pop di Ai Weiwei è interessante e stimolante: ha elaborato le immagini di questi 176 dissidenti ( sarebbe corretto: Dissenzienti o , al limite, dissensienti ), poi ogni immagine è stata poppizzata in stile Warhol e ridotta in pixel e infine Trasfigurata con i Lego. Si possono trovare, oltre a dissenzienti noti, anche immagini come quella della giornalista etiope Reeyot Alemu, del cantautore Tran Vu Anh Binh del Vietnam ( famoso come Hoang Nhat Thong ) , oppure del controverso hacker latitante Usa Edward Snowden.

Ai Weiwei, per concepire la sua installazione Lego, ha collaborato con la Fondazione For-Site che
pensa che l’arte possa ispirare un nuovo pensiero etico e un dialogo importante per l’ambiente
naturale e culturale; ha aiutato Wei per l’installazione di Alcatraz. Con un po’ di pazienza e
fatica si può anche trovare il sito con l’elenco di tutti i personaggi dissenzienti e le
motivazioni e condanne. E’ nota la vena polemica, irrispettosa e provocatrice dell’artista che,
pare, abbia anche recentemente dichiarato che gli Italiani erano responsabili della diffusione
del coronavirus nel mondo assieme alla pasta. L’architetto italiano Fabio Novembre, suo amico, lo ha consigliato di cancellare il post, su virus italiano e pasta, dicendogli che non era uno stile artistico ma Donaldtrumpiano, siamo tutti d’accordo! Però Ai Weiwei, in occasione della installazione di Alcatraz, ha anche scritto : “ l’idea sbagliata del totalitarismo è che la
libertà può essere imprigionata. … Quando vincoli la libertà, lei prenderà il volo ( come una farfalla ) e atterrerà sul davanzale della tua una finestra o di un’altra finestra” : magari sul davanzale di una finestra costruita con dei mattoncini Lego; noi Italiani proveremo a perdonarlo.

Arte ed etica

Di Roberto Fioroni

Ormai quando si parla di arte moderna non ha più molto senso fare una distinzione tra arte antica e moderna, è infatti difficile tracciare una linea di separazione tra arte moderna e antica oggi così come nel passato; nel 1500 Tiziano Vecellio era moderno, anche Giotto o Caravaggio erano moderni per la loro epoca. Picasso è stato moderno per l’epoca contemporanea. Non possiamo dunque formalizzarci sulle parole altrimenti rischiamo di negare una validità artistica ad artisti che erano allora fuori tempo, talvolta eretici nella misura in cui le eresie non sono altro che verità anzitempo, e ancora oggi hanno però qualcosa da dirci; in genere gli artisti del passato non hanno confini né di epoca né di età, sono capaci di esprimersi in maniera perfettamente coerente ai propri pensieri. Questi artisti sono considerati moderni per noi, e forse è giusto dire che moderno è tutto ciò che risponde al nostro modo di sentire e di vivere. In questo mondo spirituale un esponente tipico è Picasso, che proprio per le accanite discussioni suscitate ha dimostrato di non lasciare indifferente il pubblico, anzi di saper dare un volto a tutti i dubbi, le angosce, le illusioni e delusioni che fermentano nell’uomo contemporaneo; è infatti l’uomo al centro dell’interesse artistico oggi, un uomo scosso dalle paure, incerto o scettico di fronte agli ideali e valori del passato, più ricco di conoscenze ma anche di sofferenze; ed è proprio in questo variare tormentato dalle nuove esperienze dell’uomo che l’artista cerca la fonte della sua ispirazione e il modo di esprimere le sue sensazioni. Dunque i ritratti di re, papi o personaggi oppure scene bibliche non sono più interessanti per l’artista. Una volta l’artista si poneva maggiormente dei problemi formali, voleva riprodurre la realtà con la maggiore esattezza possibile, anche se oggi è rimasta comunque la corrente dell’iperrealismo, come una bella copia del modello; però anche nel passato i veri artisti si distinguevano per la vitalità, la psicologia, la spiritualità che sapevano trasferire nell’opera, ad esempio la Gioconda di Leonardo; oggi l’artista non tende alla riproduzione della bellezza esteriore, ma al mondo spirituale dell’uomo; cioè l’artista, coerente col nostro tempo improntato alla critica, al cambiamento di ideali e valori, al centro di una realtà scossa da mutamenti, quasi per reagire all’inquietudine della vita, cerca sempre più dentro alla propria spiritualità. In questa ricerca è spesso assillato da problemi che sente di non poter sempre risolvere con immagini di fantasia, o immagini tradizionali, e cerca elementi più complessi. Di conseguenza in pittura si hanno linee, segni, macchie di colore; anche in scultura possono esserci contorte composizioni in metallo o di altri materiali più disparati; in tutti i casi si hanno opere che, con la loro intima realtà non rappresentano un reale visivo tradizionale. Rispetto al passato si può dire che si siano rovesciati i valori, dato che l’artista oggi si interessa al complesso dei pensieri, delle sensazioni, delle impressioni e la maniera in cui questo mondo psicologico riesce a suscitare la sua ispirazione. Un pittore che voglia riprodurre l’effetto di luce di un pomeriggio d’estate in campagna non può renderlo con un disegno e linee tradizionali perché il mezzo tecnico, pur nella sua perfezione, non può esprimere l’emozione provata, allora questa si esprime nei modi più diversi che variano da un individuo all’altro, poiché ciascuno ha le sue sensazioni; in questo la pittura astratta cerca una sua manifestazione. Rimane spesso la soggettività della rappresentazione, perché chi guarda un quadro astratto potrà dire di non capirci nulla, è normale questa sensazione perché quell’emozione particolare non è stata provata dall’osservatore, ed è certamente diversa da quella provata dall’artista. In certi casi si può dire che l’astrattismo esprime anche l’incomunicabilità, però ci sono anche artisti dotati di un ricco mondo spirituale e di una capacità comunicativa tale da trasmettere le proprie impressioni ad animi altrettanto sensibili. Potremmo dire che l’opera d’arte è riservata al proprio autore; questa considerazione è valida per oggi ma anche per le grandi opere del passato; chi può dire di avere compreso del tutto il mistero della Gioconda? Probabilmente c’è un significato che ci sfugge e che Leonardo conosce. In questo anche la Gioconda è, in parte, una figura astratta. La pittura moderna cerca di astrarsi dalla realtà esterna e cerca di esprimere le emozioni eliminando ogni traccia di corporeità. Noi, come osservatori, quando siamo davanti a una macchia informe di colore, a un geometrico disporsi di segni, a una non immagine dovremmo sforzarci di sentire la bellezza anche se non capiamo la ragione di essa; e forse è questo senso di mistero a conquistarci; questo sguardo gettato in una profondità che subito ridiventa impenetrabile. Personalmente accetto tutto dell’arte moderna, credo senza avere pregiudizi, solo una cosa è irrinunciabile e inderogabile: è fondamentale che rimanga ETICA anche quando giunge alle sue più estreme e provocatorie manifestazioni; in epoca moderna l’arte ha usato qualsiasi materiale, dalla merda agli schizzi di sangue, agli avanzi di cibo, al grasso dei prodotti dei supermercati dell’epoca comunista; le performance hanno perfino esposto un ragazzo down alla Biennale di Venezia, in quel caso Pasolini disse che rappresentava il nulla e che era una mostruosità nata dalla sottocultura. Direi che in nessun caso si può usare l’uomo come oggetto, in questo intendo che l’arte deve rimanere etica, ma vado oltre: ormai l’arte deve confrontarsi soprattutto con l’ecologia e allora nemmeno nessun animale o pianta può essere usata come oggetto.

Nel panorama artistico attuale sono numerosi gli artisti che operano con etica e sensibilità ambientale; tra questi amo particolarmente Ai Weiwei, il figlio del grande poeta cinese Ai Qing. Alla fine degli anni 50 Ai Qing è esiliato per motivi politici, con la famiglia, in una grotta di uno sperduto villaggio del deserto del Gobi; il poeta viene umiliato con l’incarico di pulire le latrine del paese. L’immagine straziante di Ai Qing, resta viva nella memoria del figlio artista, il quale ricorda la serena e coraggiosa accettazione da parte del padre e l’etica con la quale egli svolgeva dignitosamente, direi confucianamente, quel degradante incarico. Il pensiero artistico e l’attività politica sono legati indissolubilmente in Ai Weiwei, le sue opere recuperano i materiali dei templi distrutti in Cina, sono la denuncia delle speculazioni edilizie che nel Sichuan provocano la morte di migliaia di persone a seguito del terremoto; a Palazzo Strozzi espone i ritratti fatti di mattoncini Lego di personaggi detenuti, esiliati o giustiziati nella storia di Firenze. Viene arrestato varie volte e nel 2015 riceve da Amnesty International il riconoscimento di Ambassador of Conscience. Ai Weiwei non è semplicemente una delle tante star del sistema dell’arte contemporaneo, e non è nemmeno un attivista rivolto ai problemi della modernità e dell’Umanità, ma è un libero pensatore che dimostra di dare all’arte un importantissimo ruolo sociale e politico, nel senso più nobile del termine.

( per la prima parte mi sono riferito soprattutto ad un articolo di Giuliano Valeriani, che non conosco ma che ringrazio sentitamente )

L’estetica del semplice

Di Roberto Fioroni
Forse perché non mi è ancora passata la crisi dei cinquant’anni ma provo,
sempre più spesso, una irrinunciabile necessità interiore di godere di
immagini semplici in un mondo che ci propone, con intensità crescente, una
sovrabbondanza di immagini sofisticate, ad alta definizione, spesso troppe e
troppo dense per i nostri sensi.
Oltre alle immagini il mio fastidio lo sento anche per tutto il complesso di
stimolazioni che interessano i nostri sensi, a partire da quello meno
ancestrale e più sofisticato, adatto ai nostri tempi, che è la vista. Anche gli
altri sensi vengono spesso coinvolti, come ad esempio l’udito con i rumori.
Questa sovrabbondanza o ridondanza è provocata in genere dai mass
media, e allora mi tocca di coinvolgere in questo discorso McLuhan e la sua
geniale distinzione tra mass media caldi e freddi: per essere semplicisti i
mass media freddi sono quelli poco ricchi di particolari e di stimoli, nel caso
specifico veniva presa come esempio di medium freddo la televisione di
allora, cioè degli anni ’50, che era sgranata, in bianco e nero, con suoni poco
limpidi; a questo punto il genio di McLuhan ci spiegava che la mancanza di
definizione era completata dai nostri sensi, dalla nostra fantasia, dalla
percezione della buona forma; perciò un medium freddo ci consente una
maggiore partecipazione emotiva, una stimolazione maggiore della nostra
fantasia, oltre a un maggiore senso di pace. E’ questo il punto fondamentale,
non abbiamo una necessità continua di immagini definite, ricche di particolari,
ridondanti di colori e di forme; non abbiamo questa necessità in nessun
campo e anche nell’estetica, nell’arte e nell’architettura. In proposito mi
ricordo di un trittico di quadri dipinti solo di colore bianco su tela bianca,
esposti al Centre Pompidou a Parigi, in mezzo ad una moltitudine di opere
variopinte; questi tre quadri bianchi, con cornice bianca, mi sembra di
ricordare che furono “dipinti” da Christo, il celebre impacchettatore di
monumenti. Penso che abbia voluto suggerirci una pausa, un vuoto, un
momento di silenzio, come il bianco tra le lettere, inframezzato in un
marasma di stimoli eccessivi. In architettura il migliore concetto di semplice
avviene con l’uso del vuoto, come ad esempio la piazza, o nel paesaggio una
radura tra i boschi; oppure per fare un esempio a noi vicino, cioè nella nostra
Perugia di oggi, come il vuoto sotto gli archi di un edificio, che non andrebbe
mai riempito; infatti vi sembra una buona operazione estetica andare a
riempire, con altre note musicali, le pause di silenzio di una vecchia sinfonia?

Commento di Massimo 21-11-2019

Riprendo questo vecchio articolo perche’ sento il desiderio di approfondirlo,visto che
nasconde,anzi per dir meglio abbozza, uno degli aspetti che piu’ hanno influenzato le
mie ricerche intellettuali, e che a buon diritto costituisce il problema per eccellenza
con cui ci confrontiamo agli estremi confini del pensiero umano:il Nulla.
Quando si parla di vuoto l’accostamento sorge immediato e l’autore dell’articolo ne parla
compiutamente alla fine del pezzo, in riferimento ad arte ed architettura, abbozzando
anche l’importanza delle pause in ogni forma di comunicazione.Per l’approfondimento mi avvalgo di uno stimolante allegato scovato nella rete a firma di Gianfranco Bertagni, un gigante erudito,
in fondo non molto conosciuto,ma che merita di esser letto con attenzione.Tralascio dell’articolo la parte dedicata all’impatto del Nulla in filosofia, che ha dato luogo a fiumi di pensieri di eccelsi filosofi antichi e moderni, sfociati nel moloch in cui ci confrontiamo ancora oggi: il Nichilismo.

La parola a Gianfranco Bertagni:

Il silenzio dell’arte

L’arte è un mezzo per esprimere ciò che si sente: poichè in condizioni dapprima eccezionali,
e poi sempre più comuni, il sentire di alcune `civiltà’ è l’alienazione, il nulla ha acquistato
un ruolo consistente nelle loro rappresentazioni artistiche.

Parole
La prima apparizione letteraria del nulla è forse nel libro ix dell’Odissea : dopo essere rimasto
intrappolato nella grotta di Polifemo con i suoi compagni, Ulisse (Odisseus: OdnsseuV) dice astutamente al ciclope di chiamarsi Nessuno (Oudeis: OudeiV),1 e lo acceca; quando gli altri ciclopi accorrono alle urla di Polifemo e gli domandano se abbia bisogno di aiuto, egli risponde che Nessuno gli sta facendo del male; l’equivoco impedisce loro di aiutarlo, e permette invece ad Ulisse di attendere l’occasione propizia per fuggire.

In seguito il nulla divenne una costante di riferimento della letteratura tragica: dai classici greci che lo subirono nell’amaro destino, ai romantici ottocenteschi che lo corteggiarono con nostalgica malinconia.
In casa nostra un campione di questo atteggiamento fu Giacomo Leopardi, nel cui canto Ad Angelo Mai il nulla affiora come immagine universale: della condizione umana
(a noi presso la culla, immoto siede, e su la tomba, il nulla'', 74-75), della conoscenza (discoprendo, solo il nulla s’accresce”, 99-100), e della realtà stessa
(ombra reale e salda ti parve il nulla'', 130-132). E sul tema egli ritornò frequentemente, da La ginestra (questo globo ove l’uomo è nulla”, 172-173) allo Zibaldone (il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla'';tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione”; “è un nulla anche questo mio dolore”).

Nella direzione opposta alla tragicità, i nonsense di Lewis Carroll mostrano invece come il nulla possa avere effetti comici devastanti. In Alice nel paese delle meraviglie ad Alice viene offerto del vino inesistente; il gatto del Cheshire svanisce lentamente, fino a che non ne rimane nulla se non il ghigno; e la regina pretende che si decapiti la testa del gatto, benchè essa non abbia un corpo. In Attraverso lo specchio dapprima il Re Bianco si stupisce che Alice abbia la vista così buona da riuscire a vedere che nessuno è in arrivo; e quando il messaggero arriva senza aver superato nessuno, il re conferma che questi è stato visto anche da Alice, e deduce che
nessuno cammina più lento del messaggero, altrimenti sarebbe arrivato prima di lui.

Passando dal nulla stesso alle sue metafore, la più nota è certo il nichilismo : un termine inizialmente introdotto nel 1862 da Turgenev in Padri e figli , per indicare il rifiuto radicale dei valori stabiliti che caratterizza il conflitto generazionale. Detto dai padri, biologici o spirituali, siete tutti nichilisti'' significa dunque: non rispettate nulla” (beninteso, di ciò che noi rispettiamo''). Raccontato dai letterati, il nichilismo raggiunse il suo apice nell'ottocento nei romanzi di Dostoievski, in particolare negli atteggiamenti di personaggi quali Raskolnikov in Delitto e castigo , Stavrogin nei Demoni , e Ivan nei Fratelli Karamazov . Nel novecento il nichilismo letterario subì poi varie metamorfosi, dallagenerazione perduta” di Gertrude Stein alla “gioventù bruciata” di James Dean, per culminare infine nella letteratura esistenzialista francese dell’ultimo dopoguerra, da La nausea di Jean Paul Sartre a Lo straniero di Albert Camus.

Un altra metafora quasi scontata del nulla è il tema dell’ assenza : e le opere che parlano di qualcuno che non c’è o non arriva abbondano, dai Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello all’Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Altrettanto immediata è la metafora dell’ombra : dalla Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso,del 1812, a Peter Pan e Wendy di James Matthew Barrie, del 1911, sino al film Luna e l’altra di Maurizio Nichetti, del 1997,
si narrano le avventure di ombre che si staccano dai rispettivi corpi e acquistano vita propria
.

Una terza ovvia metafora del nulla è il buco . Nell’era elisabettiana con `nulla’ si intendeva più precisamente quel buco primordiale e prototipale che è la vagina: il che permise allora a William Shakespeare di descrivere le tresche amorose come Tanto rumore per nulla , e permette a noi ora di annettere ai discorsi sul nulla buona parte della letteratura mondiale
. Rimanendo però più sul letterale, come opere sui buchi si possono citare: Il tunnel di Dürrenmatt, del 1952; Yellow submarine di George Dunning, del 1968, che è il viaggio dei Beatles nel mare dei buchi; e Chi ha incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis, del 1982 (in entrambi i film al momento opportuno dei buchi vengono estratti da una tasca provvidenziale, e applicati al muro per permettere la fuga in situazioni disperate).

Se però assenze, ombre e buchi sono metafore letterarie del nulla, solo il silenzio ne è la realizzazione letterale.
Il silenzio della mente è stato elogiato da Socrate
(tutto ciò che so è che non si può sapere nulla'') e da Chuang Tzu (il vero sapere è sapere che ci sono cose che non si possono sapere”). Al silenzio della bocca hanno invece incitato memorabilmente Lao Tze con il chi sa non parla, chi parla non sa'' (Tao Tze Ching , lxxxi), e Wittgenstein con ilsu ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (Tractatus , 7). Quest’ultimo era però
già stato anticipato e superato nel 1786 da Lorenzo da Ponte, librettista delle Nozze di Figaro : di fronte all’accusa di essersi ispirato ad un’opera di Beaumarchais bandita dalla corte, egli si era infatti giustificato sostenendo che“su ciò di cui non si può parlare, si può cantare”, suggerendo che le limitazioni del linguaggio possono essere superate da una sua estensione quale il canto, che non è solo linguaggio (essendo anche musica).

Una realizzazione pratica del silenzio può essere l’opera letteraria non stampata, non terminata o addirittura non scritta, di cui esistono svariati esempi: i grandi profeti, da Socrate a Cristo, hanno solo parlato; il famoso secondo libro della Poetica di Aristotele forse non è mai stato scritto; libri certamente mai scritti sono stati recensiti da Jorge Luis Borges
in Finzioni , e da Stanislav Lem in Vuoto perfetto ; Marcel Bénabou ha analizzato la sua inesistente produzione inPerchè non ho scritto nessuno dei miei libri , di cui viene detto e ripetuto che non è un libro; Suburbia , di Paul Fournel, è un’opera completa di prefazione, introduzione, note, postfazione, indice ed errata corrige,ma non di testo; gli ultimi due capitoli, il xviii e il xix, del Tristam Shandy di Laurence Sterne consistono di fogli bianchi, così come il Saggio sul silenzio di Elbert Hubbard, la monografia Serpenti delle Hawaii dello Zoo di Honolulu,
e il The n \bigcircthing book che viene venduto negli Stati Uniti.

Suoni
Se nella musica, secondo Da Ponte, il canto può essere considerato una forma paradossale e metaforica di silenzio, la pausa ne è una versione letterale, e svolge nella notazione musicale un ruolo analogo a quello dello spazio fra parole nella scrittura moderna (nella scrittura antica, così come nel parlato, le parole non sono staccate fra loro),
o dello zero nella notazione numerica. A differenza di questa, però, in cui le ripetizioni di 0 sono indicate per esteso, in musica ci sono otto tipi di pause (breve, semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma),
ciascuna di durata doppia della seguente: esse possono essere seguite da un punto (che ne moltiplica il valore per 1,5), o sovrastate da una corona (che ne prolunga il valore arbitrariamente), ma non collegate da una legatura.

La composizione musicale che ha più sfruttato il silenzio è 4’33” di John Cage, che si articola in tre movimenti:30” , 2’23” e 1’40” . La durata totale è di 273”, che sono un esplicito richiamo ai -273° di quell’altra forma di nulla che è lo zero assoluto, a cui ritorneremo più oltre. La poetica di Cage era comunque non tanto quella di suonare il non suono, quanto di mostrare che il silenzio assoluto non esiste, o almeno non è purtroppo di questa terra
(come il regno dei cieli): una qualunque esecuzione del silenzio si scontra infatti contro gli inevitabili rumori di fondo dell’ambiente e del pubblico, ed è dunque una pratica dimostrazione della propria teorica irrealizzabilità.

Il passo successivo al silenzio puro è la composizione con un solo suono: essa è stata realizzata nella Sinfonia monotona di Yves Klein, del 1947, che consiste di un lungo suono continuo seguito da un lungo silenzio. L’idea in questo caso è che un suono prolungato o ripetuto finisce per essere rimosso dall’apparato uditivo, e diventa dunque a tutti gli effetti
un analogo del silenzio; viceversa, la mancanza di un suono o di un rumore a cui ci si è abituati viene invece percepita effettivamente, come se fosse un suono.

Anche il rumor bianco , che si ottiene per somma di tutti i possibili suoni, è una forma di silenzio. Matematicamente, la possibilità di ottenere il silenzio dalla composizione di suoni è una versione del fatto che la funzione costante di valore 0 si può scrivere in serie di Fourier, come somma di funzioni sinusoidali di varia ampiezza e periodo.

Immagini
Come il silenzio è l’assenza di suono, così il color nero è l’assenza di colore, e il buio è l’assenza di luce. All’estremo opposto, analoghi del rumor bianco che contiene tutti i suoni sono invece il color bianco e la luce , che contengono tutti i colori (come mostra l’esperimento del prisma che decompone la luce bianca nello spettro delle varie lunghezze d’onda corrispondenti ai vari colori).

Il ruolo della pausa nella musica è preso nella pittura da porzioni del colore di fondo del foglio o della tela su cui si disegna o si dipinge, e analoghi del silenzio sono i quadri non dipinti di Lucio Fontana, che alla mancanza di pittura uniscono anche buchi o tagli che rappresentano il vuoto. Alle composizioni ad un solo suono corrispondono invece le tele monocrome bianche, nere o blu di artisti quali Robert Rauschenberg, Ad Reinhardt e Yves Klein.

Naturalmente, qualunque raffigurazione pittorica (e, più in generale, iconica 2) è un simulacro del nulla: anche se le immagini sulla tela pretendono infatti di rappresentare qualcosa, non per questo esse cessano di essere segni, e dunque niente di ciò che è rappresentato. Il concetto è stato espresso in maniera memorabile da Magritte con Il tradimento delle immagini : un disegno di una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe ,ad indicare da un lato che la scritta non è la raffigurazione, e dall’altro che la raffigurazione non è l’oggetto raffigurato. E proprio sull’ambiguità tra i vari livelli si giocano i giochi delle rappresentazioni apertamente
paradossali del surrealismo, così come delle rappresentazioni apparentemente consistenti dei paradossi percettivi alla Escher.

Dopo questo vertiginoso sfoggio di erudizione,lascio spazio alla pagina bianca che vi dara’ modo magari di approfondire qualcuno degli Autori citati enciclopedicamente da Bertagni, dopo che vi sarete presi una giusta…”pausa”.

Magritte