Pensare e ricordare accorciano le distanze..

Di Fausto Carloni
…la strada che da Perugia porta a San Biagio non è bella da fare a piedi,  ma interessi (andare al parco giuochi) e voglia di camminare me la rendono attraente. In fondo è quasi come una breve tappa del cammino di Santiago e farla mi da quel benessere, magari solo psicologico, che appaga le proprie convinzioni come il camminare che fa bene. In fondo quando  cammini, e non lo fai per la dietistica, il colesterolo e cose varie, non usando cuffiette musicali e telefonini, ti porti dietro la profondità dei pensieri del solitario. Siamo troppo spesso attaccati al quotidiano che ci attanaglia con tutte le sue problematiche (lavoro, famiglia, amici, amanti, soldi ecc.) e ci rende spesso pettegoli, critici, invidiosi, superbi ecc.
La stazione di Perugia non è diversa dalle altre stazioni europee (concentrato di etnie che sperano in qualche colpo di fortuna; dopo un po si conoscono tutti, lo spacciatore, il pensionato, il sognatore, il rimorchione, il falso tassinaro, la prostituta, l’affittacamere ecc. In fondo l’aggregazione la cerchi nei luoghi di presenza. Una volta erano le piazze, poi gli stadi, i centri commerciali ecc. L’attraverso con l’attenzione del prudente (stare insieme da’ sicurezze e se c’é lo spaccone di turno che deve farsi ammirare o voler dimostrare una stupida supremazia può diventare scomodo per chi li passa ) e comincio a camminare in via Settevalli. Ma chi me lo fa fare,  mi chiedo. La pigrizia è una gran virtù se non diventa abitudine,  ma anche la determinazione lo è quindi cercare la giusta misura, valutarla con i momenti, gli umori, le voglie, gli obbiettivi, è risultanza di scelte. In questo cocktail di sensazioni arrivo al bivio fra Sette valli e Prepo. Qui la strada diventa meno trafficata. Nel passare le case popolari di Ponte la pietra vedo un africano in stile europeo. Mi chiedo da dove viene, ma i suoi lineamenti( alto dinoccolato, nero) mi fanno pensare al Senegal. Sono tentato di salutarlo nella sua lingua ,conosco solo 4-5 parole di wolof, e so che gli farebbe piacere ma la mia proverbiale timidezza mi fa solo ipotizzare il farlo.Il Senegal, scattano alcuni ricordi. Eravamo a Saint-Louis, la vecchia capitale, città di stile cubano. Bella e decadentista come lo sono certe città d’altri tempi. Eravamo li per consegnare un camion della spazzatura. Omaggio dell’associazione Alia e della sua voglia di conoscenza. Dovevamo anche girare un film di tutto questo con un percorso che da Genova a Tangeri , in nave , si inoltrava poi attraverso i deserti di Marocco e Mauritania fino ad arrivare a destinazione. Un viaggio lungo con un mezzo  che non faceva piu di 80 km. ora e consumava un litro ogni 2 km. Come sempre momenti piacevoli e tensioni si alternavano nel gruppo.Arrivati li siamo ospiti del Comune di Saint-Louis che ci mette a disposizione una specie di villetta. Una sera in cui avevano organizzato un concerto e molti di noi partecipavano, decisi di restare a casa da solo. Ero stanco, ma sopratutto volevo staccarmi un po dal gruppo ed avere un po di tempo per me, scrivere, leggere,pensare. In quell’ultimo mese non mi era stato possibile, cosi decisi che era la serata giusta. Dopo poco più di 2 ore provai ad addormentarmi. Troppo stanco per riuscirci, cosi in quel faticoso dormiveglia ripensavo a quanto fatto fin li. Le riprese, le persone incontrate, le discussioni i posti visti. Fu un rumore strano, di qualche cosa che cade,  a svegliarmi da quel torpore dove è difficile distinguere realtà e sogno. Mi alzo nudo e insicuro ( è strano come si é insicuri quando si é nudi) e vado verso la sala dalla parte opposta da dove ero io. Non faccio in tempo ad uscire dalla camera che mi vedo una persona che scappa con l’agilità di un gatto attraverso una porta che da’ sul cortile. Urlo, un urlo di paura, ma dura solo un attimo poi un urlo premeditato, di rabbia avendo capito la situazione.Ho aspettato un attimo ad uscire, non si sa mai, poi quando l’ho fatto niente in giro. Un controllo ed é sparita solo una piccola telecamera di poco valore.Il grosso dell’attrezzatura c’era come vi erano i bagagli importanti. Le varie ipotesi su chi, sul perche quella sera e altre considerazioni. Provo a dormire ma non ci riesco e al ritorno degli altri il racconto con l’immancabile chiacchiericcio. Tutto finisce con quel po’ di insicurezza che certe situazioni creano. Attraverso Ponte della pietra con la voglia di viaggiare. I ricordi stimolano nuove voglie, nuovi sogni,nuove conoscenze che arricchiscono quel bagaglio umano che l’esperienza di strada da’. La voglia attuale è la Cina. Vorrei arrivarci via terra con tutti gli sbattimenti che comporta un simile viaggio. Visti, treni, permessi, autobus, lingua, soldi incontri e sopratutto quell’ attraente mistero della scoperta. Dove non sai, non conosci, non ti crei il tuo pensiero ma vedi ,ascolti osservi, ti adatti , è una vera e propia palestra per la mente che poi trasforma in esperienza le risultanze finali. E’ propio di un viaggio cosi che ho bisogno ma non mi va di farlo da solo….aspetterò.  Arrivo al bivio che da via Settevalli si può andare all’interno di case nuove e zona industriale. Arrivo al semaforo e vedo due lavavetri. Mi chiedo da dove vengono. Mi tornano in mente i vari sbarchi di fine anni 80, inizi anni 90 dall’Albania all’italia. Con gommoni, barche a vela, motoscafi, piroscafi e mezzi similari rischiando a volte la vita per la speranza. La speranza è il contrario di rassegnazione. Speranza di un futuro, speranza di un lavoro, speranza di guadagni, speranza di felicità. La speranza è una dote del fatalista-ottimista. Poi perche lo fanno è capibile e credo che finche’ ci sarà qualche d’uno che soffre la fame ci saranno sempre barconi pronti a sbarcare da qualche parte. Altri ricordi…..mi telefona Giovanni Bazzucchi, un mio caro amico di gioventù,. Lui è geometra e lavora per lui ( o meglio in un cantiere che lui segue come tecnico) un albanese di nome Edoardo. Mi dice di una strana storia , di un tesoro nascosto nel suo paese, di sapere dove ma non poter cercarlo per mancanza di mezzi. Chi di noi non ha mai sperato di trovare un tesoro? Nelle prima metà degli anni 80 mi era capitata una lettera ( allora pulivo cantine e soffitte) di tale Peghin che parlava di un tesoro nel mantovano Insieme a Lida, impareggiabile amica, siamo partiti e abbiamo provato a cercarlo con le poche informazioni che avevamo. La lettera era degli anni 20 e un certo Pedro Corte l’aveva portata in italia dall’Argentina. Non abbiamo trovato nulla e i luoghi erano molto cambiati da allora e dalle informazioni avute. Siamo tornati a Perugia e dopo un po di tempo facendo vedere il documento storico ad un mio amico. Mi dice che una certa Laura Peghin lavora alla regione. Vado a parlarci e mi conferma che nel mantovano vi erano suoi parenti e nella sua famiglia il bisnonno era partito all’improvviso con una ballerina argentina per andare a vivere in quel paese.  Insomma  decido di conoscere Edoardo e una sera a cena a casa di Giovanni mi racconta la storia di questo tesoro. Dice che durante la ritirata tedesca i nazisti che avevano fatto razzie in Grecia, Macedonia e Albania hanno nascosto l’oro in un campo di propietà di un amico del suo amico. Non avendo metal-detector non sapevano come trovarlo e mi chiedeva se potevo procurarmene uno e accompagnarlo nella ricerca. Gli chiedo due giorni di tempo per informarmi. E’ vero che sono un credulone ( in particolare quando mi fa piacere) cosi piu’ che il tesoro fu la curiosità di andare a vedere l’Albania che aveva aperto da pochi mesi le frontiere a motivarmi. Telefono a Bussi Giuliano (sapevo che aveva un metal-detector) e gli spiego la cosa. Lui si entusiasma e il giorno dopo viene con Antonio Maestrini al bar Turreno dove pianifichiamo il viaggio. Tre giorni dopo a bordo di una Talbot solara (una macchina simile mi è rimasta in mezzo al deserto tra algeria e niger, ero con Giulio ma questa è un’altra storia) andiamo ad imbarcarci a Brindisi. Siamo in 4 con 2 metal detector a bordo. Edoardo è eccitato, Giuliano entusiasta e Antonio tiene banco raccontandoci le sue  avventure. Arriviamo a Durazzo e per sbarcare troviamo le prime difficoltà. Fortunatamente per far passare tutto e per la macchina paghiamo qualche cosa. Edoardo parla per facilitare ma è poco considerato. Io mi guardo intorno e mai avevo visto un posto cosi degradato. Mi metteva a disagio Eppure conoscevo i porti di Cotonou, di lome, di Adbijan, di Manila e tante altre dove miseria e sopravvivenza si accettano. Qui mi sembra una vera e propia corte dei miracoli con tante persone a chiedere, topi grossi come gatti nelle strade, poliziotti , militari e una puzza incredibile con una mancanza assoluta di igiene.Credo  che sia il fatto che vi erano tanti che  aspettavano i barconi della speranza. Mentre usciamo dal porto per dirigerci verso la casa di Edoardo ci fermano almeno 5 volte ( poliziotti, militari, civili con bande ai bracci) e tutti ci chiedono qualche cosa. Ci vogliono fare la multa perche’ abbiamo la targa (incredibile  è una delle rarissime macchine con la targa) . Se non fosse per quell’aria un po pesante ci sarebbe da ridere. Edoardo parla e sembra riuscire a convincere i suoi connazionali ( trova amici tra i gendarmi) a farci passare i controlli. LA casa di Edoardo è un palazzone degli anni 60 storto e malfatto e ci chiediamo come fa a stare in piedi. Ci vivono i genitori e un fratello e sorella. Ci offrono ospitalità e vogliono che restiamo la notte ma  Antonio e Giuliano vogliono andare in hotel . A malincuore mi unisco a loro. L’unico albergo è senza luce e costa caro. Il bagno è impraticabile  e le stanze grandi e decorate puzzano di muffa. Vista la maestosità doveva essere uno splendore ai tempi del regime. Loro una camera in due,  io una singola. La porta non si chiude cosi memore del Tex Willer fumettistico metto una sedia ad incastro sotto la maniglia per fare in modo che sia bloccata. Mi addormento pregustando una calda doccia mattutina. Non c’è acqua. Partiamo presto per andare da questo amico di Edoardo. Sale con noi e via di nuovo verso sud-est dove dovrebbe trovarsi il luogo di ricerca. Ci fermiamo varie volte e qui la situazione è completamente diversa che a Durazzo. Gente ospitale, orgogliosa e generosa, molto dignitosa. Sempre quando c’è un cambiamento in corso gira quell’aria di freschezza che fa pregustare aspettative. Di solito nulla cambia. Gli opportunisti, gli arroganti, i furbi, i superbi, e i meno scrupolosi si trovano in tutte le categorie umane. Nei partiti, nei movimenti, nei centri sociali. Certo, se non lo vuoi diventare non lo diventi, ma non è facile resistere agli abbagli e ai ricatti di un possibile potere. Sono due giorni che giriamo senza poter usare gli strumenti portati. L’amico dell’amico sembra scomparso e c’è preoccupazione per lui.Arriviamo in un villaggio dove riusciamo a trovarlo. E’ in ospedale (messo davvero male) per le percosse subite  dai gendarmi greci. Aveva provato a passare la frontiera di nascosto, ma lo hanno preso e mal ridotto. Bisogna aspettare che si rimetta  poichè è il solo che sa, secondo Edoardo. Decidiamo di ripartire per l’Italia vista l’aria poco tranquilla. Vendiamo la macchina a Tirana e via con il traghetto. Diversi mesi dopo mi telefona da Milano Edoardo dicendomi che il tesoro è stato trovato ed è sotto forma di una campana. I nazisti avevano fuso l’oro ( cosi credo) facendone una campana colorata in bronzo. Non so quanto sia vera questa storia di trasformazione, ma i dubbi mi restano e poi  non vedo il motivo di telefonarmi dopo tanto tempo. Mi riprendo dai ricordi e mi accorgo di essere arrivato a Pila. Il pensare e il ricordare accorciano le distanze….

2 pensieri su “Pensare e ricordare accorciano le distanze..

  1. roberto monchieri

    ciao fausto il tuo modo di scrivere e di mischiare fatti sensazioni progetti viaggi effettuati mi risulta sempre affascinante forse è la vita che avrei voluto

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