Di Fernando Giannini.
Questa strana faccenda di Severino! strana per lo meno a quanti vedono nella sua filosofia una bislacca teoria dell’essere in forme para-religiose. Una filosofia, la sua, capace di dar risposte al problema della morte con la stessa sicurezza di un messia. Però c’è un pezzo di umanità sotto il cielo che si assesta bene e con piacere convinto nella sua filosofia. E la convinzione di costoro sulle sue risposte ai massimi dilemmi della vita non è di tipo fideistico, cosa avvilente se no, ma concreta. O meglio concretizzata in un sistema di pensiero che porta le tematiche ontologiche sul piano della critica sociale, dell’analisi dei sistemi politici, con un lucido sguardo alla modernità.
Il ricamo del pensiero, a cui ci hanno abituato tanti filosofi, in Severino non esiste.Piuttosto se metafora si può, la sua filosofia è un lunghissimo solco scavato nella roccia per circa 70 anni della sua vita.C’è un “codice genetico Severino” che accomuna tanti di noi incapaci di spiegare questa adesione profonda al suo pensiero. Ma trovarsi aspirati dalla sua visione degli Eterni è un tutt’uno, almeno personalmente, con la ricerca di risposte immateriali alle angosce dell’esistenza. Senza più il bisogno di fidelizzarsi ad una religione standardizzata come quelle che girano ed hanno sempre girato in lungo e largo.Anche la sua critica alla tecnica è all’interno dello stesso codice genetico. In quanto strettamente collegata ad un sentirsi autarchici nel profondo, che vuol dire anche sentirsi liberi dalla oggettistica che ci assedia.
Quella tecnica che tanto vincente appare con i suoi volumi di fuoco e che in realtà produce l’apocalisse dell’Essere , oltre che ambientale.Tecnica e tecnologie infide in quanto avviluppanti con i loro confort piaceri speranze di vita più lunghe, sì ma di una vita disidratata e svilita. Agli antipodi sta la ricerca interiore selvatica, un pò rustica ma almeno non tronfia, non supponente, non pretenziosa. E’ quella di tanti autarchici genetici, aspiranti eremiti forse. Sono i primi questi a capire fin dall’adolescenza quanta lucidità dà un digiuno casuale, quanto gusto dona un oggetto minuto dopo una carenza di consumi. In costoro c’è quel codice severiniano. E ci si riconosce per tutta la vita. E basta poco perchè la chimica della relazione funzioni subito quando ci si incontra fra sconosciuti prima. E basta poco perchè lo straniamento comune a costoro sappia produrre una presa di distanze dalla modernità che può anche diventare argomentazione.
Escludendo noi selvatici di questo codice, penso agli Ivan Illich, ai Nicola Chiaromonte, agli Andrea Caffi, ai Jacques Ellul, agli Aldo Capitini. Cioè a coloro che naturalmente come in un piano inclinato di cui non erano né padroni né consapevoli hanno prodotto pensieri e azioni in linea con la matrice di quella filosofia, senza semmai aver mai letto nulla di Severino, considerando anche che costui fino agli anni settanta era ancora poco conosciuto fuori dai circoli filosofici. La ricerca dell’essenzialità, asciugare dell’inutile il bisogno, rendersi pellerossa della vita con tutto in un sacco, perciò agenti di una libertà diversa. Diversa perchè essa risuona nell’intimità molto prima della gran cassa delle socialità. L essenzialità della vita di Capitini caratterizzata anche da un vegetarianismo convinto, il “barbone” Andrea Caffi dalla smisurata erudizione capace di non mangiare per settimane solo perchè se ne dimenticava, l’ Ivan Illich che rifiutò l intervento per cancro trattando il dolore con l’antico oppio per anni mentre continuava la sua infaticabile attività e morendo poi di tutt’altro, il Nicola Chiaromonte ineguagliabile nelle sue rivelazioni ostinate e contrarie (chi ci dice che uno schiavo non possa sentirsi più libero del suo padrone?).
E poi il discorso degli Eterni severiniani che rappresenta la base per il rispetto di una vita che non merita di essere frullata da un divenire tecnico, al contrario di quanti senza il nostro codice genetico affermano. Perchè costoro vedono nel pensiero severiniano il pericolo di una accettazione di tutto, un abbandonarsi alla vita senza lottare. Quando la storia ha insegnato che i suoi giganti hanno nuociuto agli altri ma prima di tutto a se stessi. Che il Fare in forme poco parmenidee cioè incapaci di riflettere sul senso profondo delle azioni riguardo ad un Essere che è anche essenza intima e non progettuale conduce ad un nulla spesso devastante.E non a caso parlo di progetto perchè esso è parte in causa di una visione nihilista della vita. Progettare implica infatti il raggiungimento di una meta che rappresenta la finalità del progetto stesso. L’etimo è chiaro.
E qui cominciano i problemi. In quanto se introduciamo il concetto di progetto dovremo parlare inevitabilmente di mezzi per raggiungere quelle finalità, e quindi di quali mezzi meglio ci portano al compimento del progetto. Ma questo significa parlare di ottimizzazione che è il grande baratro della disumanizzazione. Tutti i carnefici della storia sono stati dei grandi ottimizzatori, dagli antichi romani ai Gengis khan agli imperi coloniali agli schiavisti ai nazisti dei lager ai comunisti dei gulag ai cinesi di oggi, comunisti prosaici perchè capitalisti sfrenati alla nostra stessa società occidentale odierna. Tecnica è in sé progetto ed ottimizzazione, e di tutte le ottimizzazioni è la peggiore perchè è quella matematica, quella che fa diventare il parsimonioso così ottimizzante da diventare il peggiore degli avari, cioè disumano e solo.E questa è la stessa fine della nostra società. Disumana, sola, incapace di guardare l’altro se non in una chiave di ottimizzazione degli interessi personali. Tutta la storia delle emi-immigrazioni ci racconta.
Per quanto riguarda più specificatamente il discorso dell’Eterno di Severino esso avrebbe un sostenitore, se ancora fosse in vita, in Aldo Capitini. Quanto la Compresenza capitiniana abbia in comune con gli eterni severiniani lo lascio ai filosofi. La suggestione è forte. In più credo che i due non si conoscessero ma su questo si potrebbero scoprire cose interessanti, visto che il nostro Aldo aveva contatti epistolari con il mondo intero.
Vorrei finire con un antico detto cinese che rappresenta quanto la distanza sia incolmabile fra una visione dai bicipiti forti di questa società che scivola giù inesorabilmente e la delicatezza dell’ontologia severiniana, dove essere ieri oggi domani e nei secoli non perdono la loro presenza e dove nulla è scisso, tutto è con.
“Raggiungere il bersaglio dipende dalla tua forza e dalla tua precisione,ma per centrare il bersaglio sei tu a precedere la tua freccia nel centro”.
Ai bicipiti forti Severino contrapporrebbe l’olismo, dove mente e corpo non hanno ragione di essere nominati separatamente e il progetto che è futuro c’è già.Il futuro è già qui tra noi diceva Severino. E qui si aprirebbe un capitolo enorme sulla capacità di prevedere il futuro di alcuni soggetti, che tanto hanno fatto impazzire scienziati e neuropsicologi, ottimizzatori..Ma questa è già un’altra storia.