Di Massimo Chiucchiù
Introduco molto volentieri un articolo trovato in rete riguardo una prospettiva
poco conosciuta ma dal carattere fortemente suggestivo,se vogliamo provocatorio,
inerente i legami e le differenze che legano due tradizioni di pensiero che sono
apparse in epoche e luoghi altri,apparse fino ad oggi inconciliabili, ma che sotto
l’apparente diversità presentano sorprendenti punti di convergenza che aiutano
a rinforzare entrambe proprio in alcuni passaggi critici rispetto ad una prassi
che li definisce utopistici: sto parlando della relazione tra il Buddismo e
l’Anarchismo, come ben spiegato in questo intervento di Ian Mayes.
In seguito traccerò una mia personale critica,secondo uno stilema che mette a
confronto vari autori in un incrocio dialettico ed esperenziale da cui poter trarre
una conclusione ampia e praticabile pur in un contesto intellettuale così
complesso,dato dalla vastità delle scuole presenti sia nel Buddismo che nell’Anarchismo,
che si muovono tradizionalmente rispettando piu’ un pensiero polifonico che un pensiero
singolo,pur in uno spartito tradizionale che permette diverse improvvisazioni.
IMMAGINARE UN ANARCHISMO BUDDHISTA
Ian Mayes
Considero importante l’anarchismo buddista per due ragioni. Essenzialmente per me il buddhismo concerne la liberazione personale dell’individuo da sofferenze non necessarie. L’anarchismo per me è essenzialmente liberare il mondo, attraverso una profonda trasformazione sociale e politica, dal dolore non necessario. Siamo noi stessi a creare tutto questo dolore e questa sofferenza non necessari. La distinzione fra i due è che il dolore di solito è qualcosa di fisico o qualcosa di “esterno”; è ciò che di solito intendiamo quando pensiamo al dolore. C’è anche il dolore affettivo, quello che proviamo dopo la perdita di una persona amata. La sofferenza è quel particolare tipo di angoscia che insorge quando siamo presi dall’idea che qualcosa che sta accadendo “non dovrebbe” accadere e che qualcosa che non sta accadendo “dovrebbe” accadere. Ciò trasforma qualunque dolore preesistente in qualcos’altro, in qualcosa di peggiore che è la sofferenza. La sofferenza è creata dalle nostre abitudini mentali, dalle cose a cui scegliamo di dedicare attenzione e dai pensieri che decidiamo di coltivare. Il dolore, invece, è inevitabile nella vita, anche se i sistemi sociali e le istituzioni che l’umanità ha scelto per organizzare il mondo crea per le persone più dolore del necessario. Un anarchismo buddhista dovrebbe al contempo eliminare la sofferenza non necessaria
nella psiche e il dolore non necessario nel mondo, portando più gioia e un maggior apprezzamento della vita.
L’altra ragione per cui considero importante un anarchismo buddhista è che io considero le due filosofie complementari nel senso che esse si completano a vicenda. Si tratta, per così dire,
dell’unione del personale e del politico, dello psicologico e del sociale. Sarebbe la liberazione nel suo senso più pieno, sia sul piano personale individuale che all’interno del contesto sociale più allargato.
La filosofia dell’anarchismo implica la necessità di un mutamento fondamentale nella coscienza
delle persone. Se vogliamo un mondo nuovo senza dominatori, senza proprietà e senza autorità, le persone avrebbero bisogno di abituarsi a vivere esercitando maggiore benevolenza, attenzione, cura e flessibilità reciproche. Tuttavia, questo mutamento di coscienza raramente viene esplicitamente dichiarato o elaborato nelle analisi degli anarchici e le abilità necessarie per far sì che le persone possano raggiungere questo mutamento di coscienza non vengono quasi mai insegnate nei circoli anarchici.
L’altro angolo di prospettiva su questo tema riguarda l’argomento del cosiddetto buddhismo
impegnato: troppo spesso il buddhismo diventa, in pratica, uno strumento per evadere dal mondo, per ignorare le sofferenze degli altri contribuendo ciecamente alle ingiustizie del mondo. Se si desidera veramente la liberazione di tutti gli esseri, allora ci si dovrebbe inevitabilmente sentire attratti verso un impegno sociale profondo che abbia questo obiettivo.
Il tempo passa
Non esiste una vera e propria filosofia preesistente già formulata che affronta in profondità il tema dell’anarchismo buddhista. Varie persone hanno utilizzato questa etichetta per descrivere se stesse; diversi articoli, diversi post di blog, registrazioni audio o video sono stati scritti o fatti, ma non esiste una vera e propria tradizione di pensiero per quanto riguarda l’anarchismo buddhista in quanto tale. Questo termine venne per la prima volta registrato nell’uso cinquanta anni fa, nel 1961, da Gary Snyder nel suo saggio intitolato Buddhist anarchism. Il fatto che Snyder sia ancora vivo significa che ci troviamo ancora nel periodo della prima generazione di anarchici buddhisti viventi.
La cosa nel suo insieme è ancora per lo più nella sua fase iniziale di formazione, il che significa che tutti potremmo in questa fase contribuire a definire e a circoscrivere ciò che vorremmo fosse una filosofia classificabile come anarchismo buddhista. Vorrei qui anch’io offrire un mio ulteriore contributo alla definizione di ciò che dovrebbe includere una tale filosofia, questa volta attingendo maggiormente (rispetto al mio precedente saggio) ai principi che formano il nucleo della filosofia buddista.
Per essere più precisi
Una cosa che vorrei dire subito è che non considero l’anarchismo buddhista connesso in qualsiasi modo ai vari governi tirannici, alle superstizioni religiose e alle tradizioni patriarcali associate al buddhismo in varie regioni del mondo. Il tipo di buddhismo cui si collega l’anarchismo buddhista è quello insito nei principi filosofici di base del buddhismo stesso. Le varie scuole buddhiste che presentano aspetti che contrastano con la filosofia dell’anarchismo non fanno parte dell’anarchismo buddhista per come lo vedo io.
Ammetto sicuramente che esistono al mondo diversi tipi di filosofie buddhiste. Come del resto
esistono molti diversi tipi di filosofie anarchiche. Tutto considerato, ciò significa che esistono
innumerevoli modalità in cui l’anarchismo buddhista può prendere forma ed essere espresso da persone diverse. La mia stessa formazione, che influenza la mia prospettiva sull’anarchismo
buddhista, proviene dalla mia esperienza della meditazione vipassana, la quale deriva da una
tradizione buddista Theravada, e dall’anarco-comunismo associato agli scritti del filosofo anarchico russo Petr Kropotkin.
Componenti chiave
Nonostante le tante diversità all’interno del buddhismo, esistono al suo interno dei principi chiave che tutte le diverse tradizioni hanno in comune. Prendendo in considerazione questi elementi, noto diversi parallelismi e incroci possibili con la filosofia dell’anarchismo. A iniziare dalle Quattro Nobili Verità.
La Prima nobile verità del buddhismo è che la sofferenza esiste dappertutto. Ovunque si guardi si vedono persone in stato di bisogno o che in qualche modo sperimentano un qualche grado di
sofferenza nelle loro vite. Ciò trova corrispondenza con la filosofia anarchica secondo cui il mondo in cui viviamo è organizzato in modo fondamentalmente corrotto e dannoso per la vita. Dappertutto gli anarchici condividono la stessa opinione di considerare il mondo e la società profondamente e pervasivamente contro la vita. Il mondo come lo conosciamo è davvero messo male!
La Seconda nobile verità del buddhismo dice che il dolore ha una causa e che questa causa sono la brama, l’avversione e l’ignoranza. In altre parole, il dover avere qualcosa, il dover evitare qualcosa o il semplice rifiutarsi di considerare la vita così com’è sono le cause del dolore. Queste tre cause della sofferenza per l’anarchismo sono correlate con le istituzioni del capitalismo e dello stato e con la condizione di dominio che esse generano, causa di tutta la corruzione e dell’oppressione del mondo. Il dominio trova la sua radice nella brama e l’avversione per essa nasce quando coloro i quali stanno in cima alla gerarchia devono avere quello che vogliono a modo loro, anche se a spese degli altri e non sono tollerate o permesse altre possibilità.
Gli anarchici spesso condannano anche l’ignoranza che domina la società considerandola una parte fondamentale del problema. Gli anarchici sottolineano la tendenza delle persone della nostra società a ignorare o a trascurare le varie ingiustizie e gli orrori che esistono nel nostro mondo, mentre invece concentrano l’attenzione su argomenti triviali, superficiali o di intrattenimento. Questa dinamica sociale del distrarsi in continuazione fa sì che tutte le ingiustizie e gli orrori continuino.
La Terza nobile verità del buddhismo è che è possibile vincere la sofferenza. Esiste una condizione psico-spirituale chiamata nirvana o illuminazione e ogni individuo, sforzandosi, riesce a raggiungerla. Il parallelo tra questa condizione e l’anarchismo è la visione utopica di una nuova società che esista senza lo stato o il capitalismo, senza dominio o gerarchie e che sia invece basata su persone libere che si organizzano insieme direttamente in quanto uguali e che mettano in comune le risorse del mondo condividendole. In modo simile all’asserzione buddhista che ritiene possibile raggiungere questa condizione radicalmente diversa attraverso i propri sforzi, anche gli anarchici asseriscono che le società e le persone sono in grado di creare questo mondo radicalmente diverso attraverso i propri sforzi.
La Quarta nobile verità del buddhismo è che esiste un sentiero preciso e ben delineato da seguire per raggiungere il nirvana. Questo sentiero si chiama Nobile ottuplice sentiero. Evito qui di affrontare ciascun punto del nobile ottuplice sentiero (magari lo farò in un altro articolo). Invece, prenderò in considerazione le tre categorie in cui viene diviso lo stesso ottuplice sentiero: moralità (sila), padronanza della propria mente (samadhi) e saggezza esperienziale (panna). Anche per la filosofia dell’anarchismo esiste un mezzo esplicitamente indicato per ottenere una rivoluzione sociale che ha tre diverse componenti. Ciò comprende pratiche che sono caratterizzate dai principi della politica prefigurativa, dell’auto-organizzazione e dell’azione diretta.
Il concetto buddista di moralità (sila) significa fondamentalmente che non bisogna fare o dire cose che siano dannose per altri e che bisognerebbe sentirsi spinti a fare e dire cose che siano invece di aiuto per il prossimo. L’idea è che se una persona fa o dice cose che sono dannose per altri, quella persona in quello stesso momento sta facendo del danno a se stesso, sia psicologicamente che spiritualmente. La moralità buddista (sila) corrisponde alla nozione anarchica di politica prefigurativa, il principio secondo cui le azioni e i progetti che una persona mette in pratica dovrebbero riflettere il tipo di mondo che si vuole realizzare in futuro. In altre parole, “Sii il cambiamento che desideri vedere nel mondo”. Al cuore di una moralità anarchica, espressa attraverso una pratica prefigurativa, sarebbero relazioni in cui viene rispettata l’autonomia di ciascun individuo, senza coercizioni, e in cui vengono valorizzati allo stesso modo i bisogni di ognuno. Nell’insieme ciò dovrebbe voler dire che le azioni e i progetti di una persona siano attuati a beneficio di altri oltre che di se stessi e che siano messi in pratica per assicurare un futuro migliore oltre che per il presente.
Il padroneggiare la propria mente (samadhi) significa sviluppare la capacità di controllare i
pensieri che ognuno coltiva nella propria mente in un qualsiasi momento, riuscendo a scegliere
dove ognuno mette la propria attenzione e riuscendo a prendere chiaramente decisioni e a dar loro un seguito. La meditazione è il tipo di pratica che viene usata per sviluppare il controllo della propria mente. La correlazione con l’anarchismo che metto in parallelo col controllo della propria mente è il principio dell’auto-organizzazione, il fatto cioè che un gruppo di persone organizzano insieme le proprie azioni, direttamente e democraticamente senza utilizzare gerarchie sociali o gruppi all’infuori del proprio per prendere decisioni in merito agli stessi componenti del gruppo.
Perché questi gruppi sopravvivano e prosperino in modo auto-organizzato devono sviluppare
strumenti per facilitare l’auto-organizzazione, dove l’attenzione del gruppo sia concentrata su una data situazione, prendendo decisioni collettive e mettendole in pratica in modo efficace. In un certo senso samadhi e auto-organizzazione sono entrambi forme di auto-organizzazione, solo che in un caso essa si verifica a livello individuale e nell’altro caso si verifica a un livello sociale più ampio.
L’auto-organizzazione all’interno di un gruppo richiederebbe lo stesso tipo di coesione, chiarezza e auto-disciplina che sono caratteristiche della condizione di samadhi.
La saggezza esperienziale (panna) significa sperimentare una più profonda conoscenza della natura dell’esistenza personalmente e direttamente. Questo tipo di comprensione va oltre ciò che può essere letto nei libri o in scritti vari. Anzi, essa va oltre tutto ciò che può essere adeguatamente espresso in parole. Deve essere vissuto per essere capito. Ciò può essere messo in relazione col principio anarchico dell’azione diretta, ossia la capacità di soddisfare bisogni e di rendere necessari cambiamenti senza che qualcun altro ci dica di farlo e senza chiedere permesso di farlo a una qualche forma di autorità. Ciò può essere messo in relazione col fatto che quanto si apprende nel processo di attuazione dell’azione diretta e i tipi di cambiamenti che questa produce all’interno delle persone mediante la medesima azione diretta va oltre qualsiasi cosa possa essere appreso o acquisito esclusivamente attraverso documenti scritti o parole. L’azione diretta produce un mutamento profondo e fondamentale nelle persone, molto simile ai mutamenti che avvengono attraverso il panna. Sono entrambi mutamenti sul piano esperienziale diretto. L’azione diretta spazza via le illusioni dell’autorità, panna manda in frantumi le illusioni in quanto tali. Quando si riesce a vedere in prima persona che le cose vengono fatte senza autorità, ci si accorge che l’autorità non è che uno spaventapasseri, un uomo di paglia. Quando si sperimenta la verità che sta oltre le parole, ci si accorge quanto insignificanti siano le parole.
Segnare una nuova esistenza
Il buddhismo presenta anche una speciale concezione della natura del nostro mondo. Ciò viene
riassunto da ciò che viene indicato con I tre segni dell’esistenza. Prendendo in considerazione
ciascuno di questi segni, ho capito che possono formare la base di un argomento a favore di un
mondo anarchico. I tre segni dell’esistenza sono l’impermanenza (anicca), la sofferenza (dukka) e il non-sé (anatta). L’idea alla base dell’impermanenza (anicca) è che tutto cambia, tutto viene e va e niente rimane uguale per sempre. “Anche questo passerà”. Secondo me ciò può essere un argomento a favore dell’anarchismo perché la complessità e la natura costantemente mutevole di cose e situazioni sono aldilà della capacità di comprensione o di gestione da parte delle figure che rappresentano l’autorità e delle burocrazie istituzionali. Le cose cambiano troppo e troppo spesso per riuscire a stare al passo. Nella mia opinione le persone che vivono e sperimentano in prima persona i cambiamenti sono quelli che sono nella posizione migliore per capire come cambiano le situazioni e sono quindi nella posizione migliore per affrontarle in modo adeguato. Per coloro i quali sono tagliati fuori dalla situazione stessa o staccati da altri che la sperimentano, la comprensione può essere solo parziale.
La sofferenza (dukka) è stata già discussa sopra come prima nobile verità del buddhismo. È
incontestabile che la sofferenza esista e che sia una parte fondamentale dell’esperienza umana. Ciò a sua volta si correla a un argomento a favore dell’anarchismo perché il mondo in cui viviamo attualmente è pieno di un immenso dolore e di una immensa ingiustizia, che ciò non è necessario e che possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione.
Il terzo segno dell’esistenza è il non-sé (anatta), il che significa che non esiste un sé permanente
fondamentale come individuo. In altri termini, tutto ciò che comprende il “tu” è così contingente rispetto agli innumerevoli fattori e variabili − siano essi di tipo biologico, sociale, culturale, materiale, ecc. − che non esiste alcun fondamentale sé centrale che esista indipendentemente da tutto. Cioè, se si tolgono tutte le influenze e componenti concomitanti provenienti da diverse fonti, nulla rimane. La correlazione anarchica col non-sé (anatta) è che tutte le nozioni di proprietà, status sociale e potere politico esistono come meri costrutti sociali costituiti da innumerevoli fattori diversi tutti coincidenti. Gli sforzi di innumerevoli persone si sono combinati per creare un oggetto materiale che qualcuno considera “suo”. Generazioni di acquiescenza, obbedienza e la costruzione sociale del significato si sono combinati fino a creare ciò che viene chiamato un “re” oppure un “politico”. Tutti i tipi di fattori rinforzati da decine di persone hanno creato ciò che abbiamo adesso. Nessun Intervento Divino è intervenuto a creare relazioni di dominio e nemmeno il capitalismo e lo stato esistono naturalmente dall’inizio del tempo. Abbiamo creato tutto da noi, insieme e non esisterebbe senza di noi,
Otto correnti che portano a una
C’è chi ha detto che l’intero buddhismo può essere sintetizzato nella seguente espressione:
“Abbandona le qualità insane, coltiva le qualità sane e purifica la tua mente”. La versione anarchica può essere: “Abbandona il capitalismo e il modo di fare le cose basato sull’organizzazione statale, crea e partecipa a modi di fare le cose liberi e basati sulla cooperazione e purifica la tua mente dalla programmazione convenzionale basata sul dominio che la riempie (che riempie la stessa mente)”.
Ma a che cosa assomiglia tutto questo in pratica? E a che cosa assomiglierebbe un approccio
anarchico specificamente buddhista?
Procedendo verso questo fine io ho identificato otto diverse pratiche, progetti o sotto-culture
preesistenti che io credo, intessuti insieme, potrebbero formare il tessuto di ciò che potrebbe
diventare una pratica anarchica propriamente buddista. Nessuno di questi fattori è esplicitamente anarchico buddhista di per sé, ma essi formano le fondamenta iniziali per la sua espressione concreta.
1) Il Buddhismo impegnato (Engaged Buddhism): è qui che si incontrano formalmente buddhismo e attivismo, dove i buddhisti fanno attivismo (o gli attivisti praticano il buddhismo). Sotto questo nome vari gruppi come Buddhist Peace Fellowship, Zen Peacemakers e Thich Naht Hanh svolgono attività politiche e sociali. Si potrebbe dire che un anarchismo buddhista per definizione è una sorta di buddhismo impegnato. L’unica differenza è che l’orientamento politico in questo caso è di tipo radicale-anarchico.
2) Vegetarianismo, veganismo, liberazione animale: ci sono delle persone − e anarchici e buddhisti sono spesso fra loro − che dicono che gli animali hanno diritti, che gli animali dovrebbero essere liberi e che dovrebbero essere trattati con cura e rispetto. In pratica, questo punto di vista può essere espresso rifiutando di mangiare carne di animali, astenendosi completamente da prodotti di origine animale o impegnandosi in azioni più militanti per liberare gli animali dalla cattività. Da un punto di vista anarchico ciò può essere giustificato dal desiderio di eliminare tutte le forme di dominio e di oppressione e la cattività e l’uccisione di animali possono essere considerate una forma di queste.
Da un punto di vista buddista ciò può essere giustificato dal desiderio di compassione per tutti gli esseri viventi, dal desiderio riassumibile nella frase “Che tutti gli esseri siano liberati”.
3) Il Progetto di Meditazione Pubblica (Public Meditation Project) e i flash mob della
meditazione: spesso gli anarchici desiderano rivendicare spazi pubblici, aprire spazi a tutti fuori dal controllo dello stato o della proprietà privata. I buddhisti spesso vogliono che altra gente venga a conoscenza della meditazione e che la pratichi. Mettete insieme le due cose e avrete il Progetto di meditazione pubblica, uno sforzo teso a mettere insieme persone per praticare la meditazione in spazi pubblici aperti. Questo può essere fatto come flash mob per la meditazione, ossia persone che si accordano in modo semi-spontaneo di ritrovarsi insieme nello stesso tempo e luogo per meditare in pubblico. Occupare spazi pubblici non deve essere per forza fatto in modo aggressivo; al contrario, trattandosi di meditazione, non c’è bisogno neppure di parlare. Può essere fatto sedendosi in completo silenzio e tranquillità.
4) Dharma Punx: dalla fine degli anni ’70 e dagli inizi degli anni ’80 la filosofia dell’anarchismo e
la musica punk rock sono stati fortemente associati l’una all’altra. La sotto-cultura anarchica spesso si mischia alla sottocultura del punk rock e viceversa. Come risultato degli sforzi di autori come Noah Levine, Brad Warner e altri, si è creata una nuova sottocultura di punk buddhisti detta Dharma Punx. Anche se non sono esplicitamente anarchici, gli scritti di Noah Levine fanno come minimo riferimento, anche solo casuale, al fatto che quanto da lui sostenuto è rivoluzionario e radicale. Spesse volte, all’interno di questa sottocultura, lo stesso Buddha viene chiamato il santo ribelle. Questa particolare sottocultura ha probabilmente fatto moltissimo per aiutare a sviluppare una cultura anarchica buddhista.
5) La Comunicazione nonviolenta (Nonviolent Communication) e la Comunità per la
Trasformazione della Coscienza (Consciousness Transformation Community): la comunicazione
nonviolenta (NVC) è una pratica che deriva dal settore dell’auto-aiuto (self-help). Si tratta di una
serie di strumenti concettuali e interpersonali che possono essere applicati per contribuire a
risolvere conflitti tra persone, sviluppando chiarezza e sensibilità nell’ascoltare gli altri. Da una
prospettiva buddista ciò può essere interpretato come una sorta di Retta Parola applicata (parte dell’Ottuplice sentiero). Da una prospettiva anarchica i principi e la teoria basilari della NVC rigettano esplicitamente le relazioni di dominio e la NVC viene considerata come un metodo per contribuire a superare le relazioni di dominio. Più recentemente dalla NVC è emerso qualcosa che si chiama Comunità per la Trasformazione della Coscienza (CTC). La CTC si basa su un insieme di 17 impegni che fondamentalmente riassumono il tipo di coscienza cui tende la NVC. Nel contesto delle relazioni interpersonali, NVC e CTC possono essere considerate strumenti e cornici per praticare l’anarchismo buddhista.
6) Straightedge: nella sottocultura punk hard-core esiste una tendenza chiamata radical political straightedge (o semplicemente straightedge), una sorta di intersezione sociale in cui le persone che aderiscono alla musica punk-rock sostengono anche vedute politiche radicali e si astengono da qualsiasi forma di consumo di alcol, uso di droghe ricreative e in generale da altre forme di intossicazione. All’interno della moralità buddista (sila) esiste un precetto per cui chi sceglie una linea di evoluzione buddhista si impegna a evitare tutte le forme di intossicazione. Lo straightedge può essere considerato un passo lungo il sentiero dell’anarchismo buddhista all’interno di un contesto (sotto)culturale.
7) Ateismo buddhista e Buddhismo critico: c’è un autore chiamato Stephen Batchelor che è un ex monaco buddista (sia di tradizione tibetana che di tradizione zen) che ha rinunciato alla vita
monastica. Di recente ha scritto dei materiali su ciò che chiama ateismo buddhista. Questo
approccio si caratterizza per aver escluso dal Buddismo idee metafisiche come le nozioni di
rinascita e re-incarnazione e la credenza in divinità e in cosmologie più alte e più basse. Un lavoro simile è stato attuato in Giappone dal cosiddetto Buddhismo critico. Diversi studiosi buddhisti giapponesi hanno inteso modernizzare il credo buddhista per renderlo più adeguato e applicabile al pubblico contemporaneo. Dato che la maggior parte degli anarchici sono atei (della serie né Dio, né padroni), o almeno provengono da un contesto occidentale di tipo laico, tali forme di buddhismo sarebbero i più appropriati a un anarchismo buddista.
8) L’economia del dono: è un modo di organizzare l’economia in cui tutte le merci e i servizi
vengono offerti gratuitamente come dono. Niente viene offerto con uno scontrino o come parte di una transazione o di uno scambio. Tutto viene dato senza condizioni. Le persone possono regalare cose al donatore originario (al primo che dona) ma ciò viene fatto come dono in sé, non come pagamento o rimborso. Diversi eventi e progetti anarchici operano come economia del dono, come del resto avviene anche per molti eventi e progetti buddhisti. All’interno del contesto buddhista, la pratica di operare con una economia del dono è connessa con la virtù (paramita) della dana (generosità). All’interno del contesto anarchico, l’economia del dono formerebbe la base di una società anarchico-comunista. All’interno dell’economia del dono vi sono molte potenzialità da esplorare.
Lasciarsi andare alla libertà
Forse il riassunto più succinto e più preciso del buddhismo sta in questa citazione attribuita al
Buddha Gotama: “Non bisogna sentirsi legati a nulla”. Sentirsi legati a idee di come le cose
dovrebbero essere, a cosa bisognerebbe che accadesse, ecc. è uno dei modi sicuri per sperimentare sofferenza. Allo stesso modo, per gli anarchici, anche aggrapparsi a idee di come il mondo dovrebbe sembrare, a come i progetti dovrebbero essere messi in pratica, a idee di identità o purezza ideologica hanno causato e causano molta sofferenza. Io credo che uno dei maggiori contributi che il buddhismo possa rendere all’anarchismo è esattamente questa pace della mente che deriva dal non aggrapparsi a nulla. Senza sentirsi legati, la disperazione, l’ansia e il fare affidamento su amici e compagni spariscono. I progetti, invece, si possono mettere in pratica con calma, chiarezza e un senso di ampiezza interiore. Ciò a sua volta ci mette in sintonia col tipo di mondo in cui vorremmo vivere.
Assumersi la responsabilità
Detto tutto questo, voglio sottolineare che anarchismo e buddhismo non sono la stessa cosa. Sono due tradizioni separate. Vi sono due tradizioni che si completano come due facce della stessa medaglia della vera e totale liberazione. L’anarchismo buddhista è qualcosa di nuovo, anche se ha radici molto lunghe e antiche. La mia speranza con lo scrivere tutto questo è aiutare a creare uno spazio perché questa nuova realtà emerga ulteriormente. Entrambe le tradizioni sottolineano la responsabilità e il fatto che gli individui assumano su di sé la responsabilità nella maniera più completa possibile. La stessa cosa dicasi del futuro della filosofia e della pratica dell’anarchismo buddhista. Se vogliamo che questo cresca, che si sviluppi e che evolva, la responsabilità è nostra.
Come accade con tutte le cose, quando si arriva al sodo, tutto dipende sempre da noi.
(Traduzione a cura di Giuseppe Chia da: http://parenthesiseye.blogspot.it/2011/11/envisioningbuddhist-anarchism.html)