Di Fernando Giannini.
L‘uomo si frammenta nel suo ciarlare sulla vita o su una realtà di cui non possiede e non possiederà mai le forme. Quando l’ uomo si fa filosofo illusiona se stesso mascherandosi da cogitante e allisciandosi il pizzetto. Poca trippa carissimi. Il dissidio fra Nicola Chiaromonte e Andrè Malraux, per altro ottimi amici e compagni d’arme contro Franco In Spagna, si svolgeva tutto in questo piccolo cortile: Malraux che era l’ esempio vivente dell essere nel fare, la realizzazione del sè nell’ immersione nella vita spesso spericolata sempre avventurosa, Chiaromonte che criticava tale approccio iperattivista cercando, secondo una linea filosofica più classica che mai, un riscontro dei fatti nel pensiero. Il dramma di quest’ ultimo è che se da una parte era condannato all’ uso del verbo per condurre la sua linea esplicativa, dall’ altro era decisamente disilluso sulla capacità delle parole di rappresentare la realtà. La contraddizione si incrociava ulteriormente con un atteggiamento analogo che però aveva proprio il Malraux, per il quale l ‘uomo non aveva alcuna capacità di comunicazione con l’ altro, quindi affliggeva anch’ esso la potenzialità del verbo. E’ un intreccio che potrebbe essere un discreto oggetto di ironie sottili. Pensare cioè che entrambi sconfortavano l uso delle parole ma ne avevano fatto in tutta la loro vita la propria professione come vocazione. Nicola Chiaromonte scrisse tanto e fu uno dei più profondi e originali critici di teatro, Malraux scrisse anche tanto (vinse anche un prestigioso premio Goncourt) ma sempre in questa sconcertante diffidenza verso la parola. L’impressione è che, per tornare al nostro, Chiaromonte riuscisse a trovare per la sua intelligenza una area pneumatica intermedia in cui riuscire a respirare vivere lavorare. Consapevole di quanto fosse improbabile il suo esistere a mezz’ aria. Chissà se la sua passione per il teatro fosse legato a questo. Ciao.